Recensioni / L’infra-ordinario di Georges Perec

Non una letteratura che richieda storie di grande respiro, riflessioni impegnate, intrecci malinconici, interpretazioni particolarmente sofisticate da parte del lettore o tensioni ansiose da quest’ultimo sperimentabili che seguono al succedersi all’interno di una narrazione di fatti particolarmente complicati dei quali non si riesce a immaginare l’esito, ma raffinati “esercizi” di scrittura originariamente pubblicati tra i primi anni Settanta e i primi Ottanta del secolo scorso e collezionati oltralpe in volume per la prima volta nel 1989. Pare che Georges Perec avesse il vezzo di disperdere i suoi scritti in mille rivoli e di destinarli, perché ne diventasse poi più difficoltoso il loro reperimento, anche, tanto per dire, alle riviste più marginali e sconosciute. Già questo, crediamo, fornisce la misura della cifra del personaggio.

Appare come una scrittura fine a sé stessa che sembra avere finalità puramente estetiche, quella di Georges Perec (1936-1982), scrittore francese figlio di ebrei polacchi (suo padre rimane ucciso all’inizio del secondo conflitto mondiale, sua madre muore tre anni dopo, deportata in un lager nazista), noto principalmente per il romanzo tradotto in tutto il mondo La vita istruzioni per l’uso del 1978.

In L’infra-ordinario (Quodlibet, 2023, trad. Roberta Delbono), Perec passa dalla descrizione di ciò di cui si è cibato nel corso del 1974 (sette galline bollite con riso, settantacinque formaggi, sette zampini di maiale, e via dicendo) all’esposizione di ben 243 diverse proposte di compilazione di cartoline di saluti estivi mediante il solo utilizzo di cinque frasi elementari in tre varianti, all’osservazione (e conseguente descrizione) di una via di Parigi in sei date diverse, e altro ancora.

È Umorismo o gusto della scrittura portato alle sue estreme conseguenze, quello che emerge dalle pagine del libro di Perec? È il trionfo dell’ordinario quotidiano a caratterizzare gli scritti raccolti nel libro, di ciò che va osservato e descritto momento per momento prima che scompaia dalla nostra vista e diventi poi, per le nostre capacità percettive e descrittive, inafferrabile per sempre.

Si chiede, Perec, dove siano quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, in che modo rendere conto di ciò e interrogarlo, descriverlo.

È importante, conclude l’autore, interrogare i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola e ciò che sembra avere per sempre smesso di stupirci: le possibili domande sul quotidiano, sull’ordinario e cosi via, infatti, sono altrettanto o più essenziali:

«di tante altre attraverso le quali abbiamo tentato invano di afferrare la nostra verità.»

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