IT. Nel variegato panorama dell'architettura milanese
della seconda metà del Novecento Alberto Rosselli, che
di Gio Ponti fu socio e genero, è più conosciuto come
studioso e promotore del disegno industriale che non come
progettista di edifici notevoli. Il volume che ne raccoglie
l'opera completa rappresenta dunque un indispensabile
strumento per collocare Rosselli nel suo contesto storico
e coglierne l'autentica statura. Curato, insieme a Elisa Di
Nofa e Francesco Paleari, dal figlio Paolo -autore di un
bellissimo saggio che ne svela il "lessico famigliare"- il libro
restituisce al lettore un ritratto esaustivo di una personalità
complessa. colpevolmente trascurata dalla storiografia.
Per ragioni di sintesi questa recensione è incentrata sul
Rosselli architetto, un'attività praticata con passione
durante l'intero arco della sua breve ma intensa carriera.
Nato a Palermo nel 1921, città dove il padre ingegnere si
trasferì per alcuni anni, Alberto Rosselli studia ingegneria
al Politecnico di Milano, dove si erano già laureati i suoi
fratelli maggiori, ma con l'8 settembre è incoraggiato
dai genitori a espatriare in Svizzera dove, in compagnia
di Angelo Mangiarotti, Paolo Chessa, Vico Magistretti,
Silvano Zorzi e Gian Casé, accede ai corsi organizzati dalla
Confederazione Elvetica nel Champ Universitaire Italien
presso l'Ecole Polytechnique di Losanna (una struttura
didattica creata e diretta da Gustavo Colonnetti, docente
di Scienza delle costruzioni del Politecnico di Torino) e
segue le lezioni di Ernesto Nathan Rogers. Al termine del
conflitto rientra a Milano e nel 1947, abbandonata ingegneria,
consegue la laurea in Architettura. I progetti di architettura
di Alberto Rosselli, come buona parte del repertorio di
quegli anni, non si comprenderebbero a pieno senza calarli
nella realtà di quel (relativamente) breve arco di tempo
durante il quale Milano rappresentò una felice anomalia.
La capitale economica d'Italia seppe infatti, già a cavallo tra
i due conflitti mondiali, coniugare disponibilità economica
e cultura traducendo lo stile moderno in un linguaggio
apprezzato dai suoi generosi committenti. Una coincidenza,
quella tra il gusto dei progettisti e dei loro clienti, che
ricevette un ulteriore impulso dalla ricostruzione post
bellica, trainata dall'impetuoso sviluppo industriale che
ne scaturì. Rosselli, lontano per carattere e inclinazioni da
Gio Ponti, è dotato dell'autonomia intellettuale necessaria
ad arricchire di contenuti la sua collaborazione col
suocero, ma anche dell'indipendenza e del coraggio che
gli consentiranno di percorrere strade diverse, quando lo
riterrà necessario. L'architettura di Alberto Rosselli gli
somiglia, è asciutta e priva di retorica. Un atteggiamento di
sobrietà appreso forse in Svizzera che dona ai suoi edifici
la capacità di sfidare il tempo, pur interpretandolo con
precisione. Se fosse ancora possibile ammirarlo nelle sue
forme originali l'edificio concepito per ospitare le rotative
del «Corriere della Sera» (1960-64) rappresenterebbe,
insieme al coevo progetto della metropolitana di Albini,
Helg e Noorda (anch'esso vittima di tali alterazioni da
renderlo pressoché irriconoscibile), il vertice estetico di
una società civile mai abbastanza rimpianta Una struttura
di acciaio esposta e verniciata di nero, tamponata con lastre
di vetro industriale e sormontata da un tetto a falde di
rame, un cappello dalle forme rassicuranti, delicatamente
appoggiato su un edificio produttivo, nel centro della città.
Nella Milano moderna, autentica città-fabbrica, la lanterna
luminosa all'angolo tra via Solferino e via Moscova è la
metafora di un'attività incessante, capace di dare forma e
sostanza ai nuovi stili di vita. Altrettanto raffinato e iconico
è l'edificio commerciale che Rosselli progetta all'angolo tra
corso Venezia e via San Damiano (1959-62), caratterizzato
da unbasamento e da un coronamento vetrati contrapposti a
una fascia intermedia opaca, sede del marchio di arredamento
che ebbe il merito di aver commercializzato per primo in
Italia i mobili scandinavi e quelli Shaker americani. Lontana
dal potere politico che risiede nella capitale Milano "mette in
scena" il progresso, lo rappresenta nei suoi teatri, lo stampa
nei libri, lo espone nelle gallerie e nei musei (è nella Sala delle
Cariatidi del Palazzo Reale che nel 1953 Pablo Picasso espone
Guernica in una memorabile antologica curata da Fernanda
Wittgens, direttrice dell'Accademia di Brera) e, naturalmente,
lo traduce in forme architettoniche. Secondo il figlio Paolo,
testimone involontario del viavai che animava la casa paterna,
fino alla cesura del 1968 la continuità milanese funzionò.
La crisi economica e politica del decennio successivo, che
coincise con l'accesso alla professione di un numero sempre
maggiore di giovani progettisti, indusse la mutazione dei
meccanismi di accesso alle commesse che decretò la fine del
cosiddetto professionismo colto e la sua ricerca della qualità
intesa come amore per il dettaglio. Quando Alberto Rosselli
muore, ancora giovane, nel 1976, il contesto nel quale era
cresciuto professionalmente era già radicalmente cambiato.
Il grattacielo Pirelli, "progetto integrato" e manifesto
dell'innovazione italiana sarà ceduto alla Regione Lombardia
due anni dopo. Un evento che si sovrappose al definitivo
tramonto dell'egemonia culturale degli industriali lombardi,
e con loro di una parte dei progettisti più lucidi e consapevoli.
EN. In the variegated panorama of Milanese architetture in
the second half of the 20''' century, Alberto Rosselli, partner
and son-in-law of Gio Ponti, is better known as a scholar
and exponent of industrial design than as a designer of
noteworthy buildings. The book containing his complete
works therefore represents an indispensable tool with which
to situate Rosselli in his historical context, and to grasp
his genuine stature. Edited by Elisa Di Nofa and Francesco
Paleari, together with his son Paolo -author of an excellent
essay that reveals the "family lexicon"- the book conveys
a complete portrait of a complex personality shamefully
neglected by historians. For reasons of space, this review
concentrates on Rosselli as an architect, an activity he
practiced with passiop throughout his short but intense career.
Born in Palermo in 1921, the city where his father, an
engineer, had moved for several years, Alberto Rosselli
studied engineering at the Milao Polytechnic; where his
older brothers had already graduated. After 8 September, his
parents encouraged him to go to Switzerland, where together
with Angelo Mangiarotti, Paolo Chessa, Vico Magistretti,
Silvano Zorzi and Gian Casé he was able to enroll in the
courses organized by the Swiss Confederacy in the Champ
Universitaire Italien at the Ecole Polytechnique of Lausanne
(an educational structure created and directed by Gustavo
Colonnetti, a professor of Science of Constructions at the
Turin Polytechnic), attending the lectures of Ernesto Nathan
Rogers. At the end of the war he returned to Milan, and in
1947, having abandoned engineering, he took a degree in
architecture. The architectural projects of Alberto Rosselli,
like most of the repertoire in those years, cannot be understood
without placing them inside the reality of that (relatively) short
time span during which Milan represented a positive anomaly.
The economic capital of Italy, in fact, already in the period
between the two World Wars, was able to combine availability
of financing and culture, translating the modern style into a
language that met with the approva] of its generous clients.
The overlap between the tastes of the designers and those
of their clients gained further ground during the postwar
reconstruction, driven by burgeoning industrial growth.
Rosselli, distant from Gio Ponti in terms of character and
leanings, possessed the intellectual autonomy necessary to
enrich the contents of his collaboration with the latter, but
also the independence and courage to take different paths
when he deemed it necessary. The architecture of Alberto
Rosselli resembles its maker; it is terse, without rhetoric.
An attitude of restraint he may have learned in Switzerland,
which gives his buildings the ability to defy time, while
interpreting the times in a precise way. Were it still possible
to admire it in its original forms, the building conceived to
contain the printing presses of «Corriere della Sera» (1960-
64) would represent, together with the project of the metro
system in the same period by Albini, Helg and Noorda (also the
victim of such alterations as to make it nearly unrecognizable),
the aesthetic apex of a civil society never sufficiently
cherished in retrospect. An exposed steel structure painted
black, filled with sheets of industrial glass and topped by a
pitched copper roof, a cap with reassuring forms delicately
resting on a production facility in the center of the city.
In modern Milan, an authentic city-factory, the luminous
lantern at the corner of Via Solferino and Via Moscova is the
metaphor of incessant activity, capable of giving shape and
substance to new lifestyles. An equally refined and iconic
work is the commerciai building Rosselli designed at the
corner of Corso Venezia and Via San Damiano (1959-62),
with a glass base and top layered around an opaque middle
portion, for the headquarters of the furniture brand that was
the first to market Scandinavian design and American Shaker
furnishings in Italy. Far from the political power of the capital,
Milan "displayed" progress, represented in the city's theaters,
printed in books, exhibited in galleries and museums (it was
ín the Sala delle Cariatidi of Palazzo Reale that Pablo Picasso,
in 1953, showed Guernica in a memorable retrospective
curated by Fernanda Wittgens, director of the Brera Academy
of Fine Arts) and, of course, translated into architectural
forms. According to Rosselli's son Paolo, who witnessed
the comings and goings in his father's home, the continuity
of Milan worked well until the turning point of 1968.
The economie and political crisis of the decade to follow,
which coincided with the entry in the profession of an
increasingly large number of young designers, caused changes
in the mechanism of access to conunissions that marked
the end of the so-called "cultured professionalism" and
its pursuit of quality, seen as a love for finely honed detail.
When Alberto Rosselli died, still at a young age in 1976,
the context in which he had made his career had changed
radically. The Pirelli skyscraper, an "integrated project"
and the manifesto of Italian innovation, was ceded to the
Lombardy Region two years later. This event coincided
with the definitive decline of the cultural hegemony of
the Lombard industrialists, and at the same time of a part
of the ranks of the most lucid, attentive designers.