Trovo in cima alla pila di libri che arrivano e non so più dove sistemare,
un piccolo gioiello Quodlibet/MAXXI, "Archivio Ugo Ferranti. Roma
1974-1985", un tuffo al cuore, un salto indietro nel tempo, proprio nel
giorno in cui Giulio Paolini apre la sua mostra all'Accademia dei Lincei,
presidente Paolo Icaro (fino a pochi giorni fa), finalmente sugli scudi con
una lectio davvero magistralis di Settis su Germano Celant. Ce n'è abbastanza da farmi perdere il sonno e infatti, stanotte, dalle tre alle cinque
l'ho divorato. Ho visto passare come in un film i protagonisti di una breve
ma intensa storia di galleria che apre alla generazione dopo Plinio, Salita, Tartaruga, Fante di Spade, il primo Attico, Marlborough, Leoncillo,
Titina...
I confini non sono mai netti, una generazione succede alla precedente,
impercettibilmente. Ontani arriva da Bologna, Clemente da Napoli, Boetti da Torino attirato da Schifano che era lì da tempo e fa da ponte, come
Twombly, tra le generazioni. Responsabile importante di questo cambiamento è Massimo D'Alessandro che riesce a non farsi catturare nella rete
della lotta armata, ma sceglie la lotta amata delle arti. "Combattimento
per un'immagine" era il titolo di una delle più belle mostre di quel decennio che celebra l'arte povera, minimal, concettuale, Fluxus eccetera.
Ugo Ferranti arriva a Roma da Parigi e porta con sé Yvon Lambert.
Twombly appoggia silenzioso il cambiamento e apre a Brice Marden e
Von Gloeden per riabilitarlo dopo i processi fascisti. Oggi l'archivio Ferranti è sistemato e consultabile al MAXXI per cinque anni. Voglio andare
a Roma per vedere le lettere e respirare quel clima che tra "Contemporanea" di Achille Bonito Oliva e "Vitalità del Negativo" e il caro Piero
Sartogo, che oggi ci manca, fissò l'epoca straordinaria di Gino, Vettor,
Alighiero, Elisabetta, Mario, Ettore, Emilio, Tano, Jannis, Claudio, Eliseo, Francesca, Carla...