Recensioni / Dolores Prato: «I miei ricordi da educanda»

Nata a Roma nel 1892 da una vedova con altri quattro figli e da un avvocato calabrese che non la riconobbe, Dolores Prato fu affidata bambina dalla madre (dalla quale prese il cognome) a un cugino sacerdote, don Domenico Ciaramponi, che abitava a Treia (Macerata) con la sorella, Paolina. I due la crebbero con affetto, ma quando per Dolores cominciò l'adolescenza fu ritenuto opportuno collocarla in un collegio religioso, affinché potesse continuare lì la propria formazione. E il 1905 quando Dolores entra nel signorile Educandato della Visitazione delle salesiane di Treia.
Possiamo leggere il racconto di quell'esperienza in un romanzo sinora inedito, recuperato da Elena Frontaloni tra le carte della scrittrice, scomparsa nel 1983, e pubblicato dalla casa editrice Quodlibet. Si intitola Educandato perché il mondo raffigurato è quello del collegio femminile in cui la futura scrittrice rimase per sei anni, fino al 1911.
Era stata la zia a insistere con il fratello, inizialmente contrario, a che Dolores entrasse in educandato. Le prime pagine descrivono il doloroso distacco da quella che fino all'età di tredici anni era stata la sua famiglia. Dopo che la zia le ha pettinato i capelli ricci e crespi perché possa apparire "presentabile", lei in un moto di stizza spezza il pettine. La rottura fisica dell'oggetto simboleggia una lacerazione interiore: «Le strappai di mano il pettine e lo spezzai, spezzata io stessa».
Del convento con l'annesso educandato Dolores sapeva già qualcosa, perché dal paese si vedeva e in paese se ne parlava. Ma molto poco, in quanto si tratta di un mondo separato. Un mondo separato e labirintico, che la scrittrice descrive sul duplice piano fisico (le stanze, i dormitori, le aule, i corridoi, le soffitte, la cappella) e psichico (i sentimenti e le emozioni che traspaiono dai gesti, dai comportamenti, dalle parole di chi lo abita). C'è una dimensione introspettiva che porta Dolores Prato ad affacciarsi sul proprio sentire, ma sembrano predominanti rispetto a essa l'interesse e la curiosità nei confronti degli altri, o meglio delle altre, giacché si tratta di un universo tutto femminile: da una parte le educande come lei, dall'altra le suore.
Tra queste spicca la figura della «Madrina», così come viene chiamata da tutte, suor Margherita Maria Masi, sanguigna romagnola originaria di Lugo, fattasi suora in seguito a una delusione amorosa, sorella di un generale, amica del gran maestro della massoneria Adriano Lemmi e conoscente di Giosue Carducci: «La Madrina era tutto: amministratrice generale, economa, esaminatrice delle pretendenti, maestra delle novizie. (...) Un fenomeno. Nel loro silenzio molte religiose pensavano che il fenomeno fosse di accentramento. Quelle sulle quali il suo fascino faceva presa si distinguevano per la sofferenza di un'acuta gelosia; in quelle altre, inespressa e cupa era l'antipatia e la condanna». A lei, dopo un'iniziale incomprensione, Dolore Prato rimarrà profondamente legata, rievocandola in un uno dei suoi libri più celebri, Le Ore, e intrattenendo un fitto rapporto epistolare fino alla morte della religiosa (avvenuta nel 1922).
Dolores è affascinata dalle suore, da quella loro vita in comune, semplice e povera; dai loro capi di vestiario che la regola non consente abbiano bottoni, ma solo lacci e spilli a fermare le diverse componenti dell'abito; dalla loro letizia interiore: «Avevano tutto in comune, anche lo sposo e non erano gelose tra di loro, anzi erano felici quando ne arrivavano altre per servire lo stesso sposo».
Il quadro complessivo non è però idilliaco. Il male, l'inquietudine, persino la violenza possono manifestarsi all'improvviso. Come quando Dolores assiste attonita a una scena terribile: una suora ammazza, chiusa in un sacco ripetutamente sbattuto contro un albero, una gatta, colpevole di aver figliato. Gli occhi spalancati del povero animale finalmente morto rimangono, a distanza di anni, un ricordo indelebile: «Molto ho dimenticato della vita, tutto potrò dimenticare, non mi sarà mai possibile dimenticare quegli occhi che erano terrore. E la faccia ridente della monaca, demoniaca. Se il demonio c'è lo vidi quel giorno». C'è poi la morte, quella delle suore anziane o malate, che tuttavia viene nascosta alle educande, sicché essa equivale ad «assenza e scomparsa».
Dolores Prato è autrice di culto, poco pubblicata e poco premiata invita, ma apprezzata da Natalia Ginzburg, che, redattrice presso Einaudi, pure fu accusata di aver esercitato un editing troppo invasivo sul suo romanzo più noto, Giù la piazza non c'è nessuno (uscito nel 1980). La pubblicazione di Educandato fornisce un nuovo importante tassello alla ricostruzione del suo percorso letterario. L'opera è un libro, come scrive Elena Frontaloni, «dallo sviluppo antilineare e rizomatico, che annoda in ogni sua riga fantasia e memoria, documentazione privata e pubblica dell'autrice, riflessione e narrazione». Aggiungiamo noi: un piccolo capolavoro.