Recensioni / Nelle mura del monastero

Dolores Prato nacque a Treia, un paese nelle Marche, in provincia di Macerata (nel 1892). Figlia illegittima, venne affidata allo zio prete e fu educanda, come si diceva allora, presso il collegio annesso al monastero di una chiesa. Insegnante, autodidatta, divenne un caso letterario nel 1980, quando Einaudi pubblicò la narrazione Giù la piazza non c'è nessuno in una versione tagliata e ricomposta da Natalia Ginzburg. L'editore Quodlibet ha dato alle stampe il libro Educandato (curato da Elena Frontaloni) in cui l'autrice ricorda, con meticolosità proustiana, l'adolescenza nel grande e dispersivo monastero gestito dalle monache visitandine. Il portone con un pesante battente, il refettorio, il parlatorio, il dormitorio, i teatrini, il giardino con una sola palma, sono alcuni degli ambienti restituiti in modo molto descrittivo (con l'uso di vocaboli dialettali), in cui la lentezza delle ore (simboleggiata dalla clessidra) si alterna al tentativo della madrina di trasmettere una devozione all'insegna del senso del peccato. Dolores Prato aggiunge spesso una lunga elencazione degli oggetti che sembrano essere elementi vitali, che le fanno compagnia. Educandato non può essere considerato un vero e proprio romanzo (peraltro incompiuto), ma il tassello che si aggiunge come ulteriore paragrafo a Giù la piazza non c'è nessuno, introducendo una cadenza diaristica, episodica. Le ragazzine del collegio risultano figure sfuggenti, abituate alla costrizioni, sottomesse, fantasmatiche. Ad un certo punto la scrittrice annota: "In un convento la morte può arrivare a colpi di spillo", quasi a significare una punizione subita "nel vuoto immenso dove precipitano le cose". Dolores Prato si sente "spezzata" e si immedesima nel pettine che le annodava i capelli e le trecce serrate a crocchia dietro la testa. E' stata definita una delle scrittrici più originali del nostro Novecento. La meditazione e l'evocazione appaiono costantemente il segno della trasfigurazione di un'età e di un'epoca perdute, in cui la vita interiore affiora a getti e si manifesta nella molteplicità straordinaria degli indizi. Scrivere è una atto necessario, vitale. Dolores Prato ha precisato che la sua trasformazione avveniva varcando una soglia "solenne, misteriosa, semibuia, per me paurosa" che si oppone all'atteggiamento freddo di un luogo straniante. “Tutti dicono che ho fantasia. E io rispondo che non l'ho. Non riesco a inventare un raccontino. E allora come mai tutti lo dicono? Che sia fantasia quei nessi spontanei tra le cose e le idee, tra persone e parole? Quello scoprire i fili che legano tutte le cose? Questo improvviso annodare, sì, ce l'ho. Ma è fantasia questa?". Sì, è fantasia, rammendata tra un crocifisso e una pena da espiare.