Recensioni / Il dinosauro

C'è un tema che sembra ispirare la produzione letteraria da più di duemila anni e non smette di giocare un ruolo straordinario. È la metamorfosi. La sua apparizione più recente ce l'ha regalata Alberto Ravasio con La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera (Quodlibet, 2022). Non roviniamo la sorpresa di chi leggerà il libro rivelando di che metamorfosi si tratta, perché fin dalla prima pagina l'autore ci mette a conoscenza del fatto che Guglielmo, una mattina, si sveglia trasformato non in uno scarafaggio, ma in una donna. Ma mettiamo in guardia eventuali lettori troppo esigenti: Kafka è lontano, si tratta di un libro allegramente sgangherato, liberamente fantastico, a momenti delicatamente lirico, perlopiù provocatorio. E lo scenario è vagamente ispirato allo schema della Grande Sfiga Giovanile, molto diffuso nella produzione italiana degli ultimi anni.
C'è anche una non velata critica del nostro modello di civiltà, alle ipocrisie borghesi (ma qui siamo nell'ovvio) e alla difficoltà di inserimento dei giovani; ovunque. In questo caso soprattutto nell'organo sessuale femminile, di cui a lungo si discetta. Ma il tono è sempre ilare, e in fondo adatto a un evento surreale. Gugliemo S. (ripeterne il cognome fa un po' senso) solo, fuori corso senza speranza, disoccupato e divanato nella casa dei genitori, in trent'anni non ha mai avvicinato una donna, nemmeno per chiedere informazioni stradali. Ha vissuto in un "esilio pornonautico", specializzandosi in masturbazione ossessiva. L'unico amico di Guglielmo si chiama Coprofago, ha bicipiti di marmo ma un carattere di plastilina. Intorno un mondo cristallizzato nel suo perbenismo ("il cattolicesimo in paese era l'unico modo di stare al mondo"), e lui che si riduce a chiedere il perché della sua trasformazione. Non lo aiuta la religione, perché gli è stato diagnosticato il malfunzionamento dell'anima: "Dio mio che non esisti, perché mi hai transessualizzato?" Nessuno lo capisce: il padre a lavorare, la madre istupidita dagli psicofarmaci, il figlio in camera a masturbarsi. La psicologa sessuofobica lo schernisce. "Cinquecento anni di analfabetismo lo circondavano, minacciosi". Non diremo altro. Qualche colpo di scena accompagna la conclusione, o meglio l'inizio della vita del transessualizzato. Ma resta la chiave, l'idea portante, che è la metamorfosi. C'è da chiedersi perché, da Ovidio in poi, i fenomeni delle trasformazioni hanno avuto tanta fortuna, hanno lasciato tracce così significative nella storia della letteratura, e perché affascinano ancora oggi. Anche nell'antichità i miti delle metamorfosi non si contano; tanto per i cambiamenti di sesso — il caso di Tiresia, che passa sette anni trasformato in donna, traendone interessanti esperienze — e le mutazioni in animali. Basta pensare all'Asino d'oro di Apuleio, dove c'è un Lucio che passa attraverso la condizione asinina per poi tornare a quella umana. Non ha la stessa fortuna Lucignolo — un piccolo Lucio, si direbbe — che invece ciuco resta e ciuco muore, mentre la fortuna tocca a Pinocchio, anche lui inciuchito e poi restituito alla sua legnosa natura di burattino, arricchito di un'esperienza animale che lo fa maturare. Ma di umani trasformati in bestie o in vegetali sono pieni i miti e le fiabe, dai principi-ranocchi alle principesse-mela. Mentre della trasmutazione verso il mondo animale, l'esempio per così dire definitivo è quello di Gregor Samsa.
Quello che forse continua a colpirci è che quelle mutazioni non si limitano a produrre problemi e incongruenze, ma sembrano rivelare la complessità della natura umana, dirci che le cose raramente sono quello che sembrano. Che a guardarle dalla prospettiva del "sempre uguale" non sviluppiamo nuova conoscenza, mentre è guardando a ciò che è altro, diverso, a ciò che esce dalla normalità per farci entrare in un mondo labile, incostante ma continuamente produttivo di novità, che ci apriamo a pensieri nuovi. Ci fa immaginare quello che non siamo e potremmo essere, ci fa guardare oltre la superfice delle cose, oltre le nostre vulnerabili identità. Forse, tra narrazioni delle mutazioni di genere, quella più originale è quella dell'Orlando di Virginia Woolf: un uomo che diventa donna — senza interventi esterni — vive a lungo ed è testimone di quattro secoli di vita letteraria dell'Occidente. Una metamorfosi non subìta, ma intimamente sentita, un cambiamento realizzato per il desiderio soggettivo di una legittima affermazione dell'io. Forse è lì che si nasconde il vero fascino di ogni racconto di metamorfosi: nel fatto che i mutamenti possono essere più o meno desiderati, voluti, o imposti; ma quasi sempre, anche se ci trasformano in uno scarafaggio, raggiungono l'obiettivo di renderci più o meno esattamente quello che, anche inconfessabilmente, vogliamo essere.

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