Questi tre libri delineano un triangolo
rettangolo: sui cateti ci sono Celan e Zanzotto (studiati rispettivamente da Camilla
Miglio e da Andrea Cortellessa) e sulla
ipotenusa Celan-Zanzotto-Celan perlustrati da un poeta in dialogo da sempre
con questi due autori, cioè Peter Waterhouse, a sua volta poeta tra le lingue:
tedesco e inglese.
Se ho potuto leggere i libri di Andrea
Cortellessa e Camilla Miglio nel loro conglomerarsi, la lettura del libro di Waterhouse si è configurata come una radura in cui
tre forze diverse ma sorelle si intrecciavano fino a formare un noi reale, non fittizio,
forse quel coro minimo che Franz Kafka
indicava come il raggiungimento di una
quasi verità.
Kafka è solo uno dei tanti interlocutori di questi saggi. Primo fra tutti è
Mandel’stam, nella cui mandorla sono
racchiusi Dante ma anche Darwin e Petrarca avvistato da Celan, amato e difeso da Zanzotto, e Holderlin-Scardanelli
amato e temuto dall’ultimo Zanzotto.
I nomi sono una tale foresta e le cicale
delle citazioni (Mandel’stam) cantano in
modo talmente fitto che è difficile restituire la loro ricchezza, ma in tutti la traccia
da fiutare e che essi stessi indicano è
quella di un “ricercar per vita attraverso
lo scandaglio geologico delle parole”
(Miglio) di un canto dentro la terra che
viene decifrato da Andrea Cortellessa, di
una lettura che traducendo trova, e ritraducendo modula e rimodula il mondo, in
Peter Waterhouse.
Fossile ma non morto: questo è il
discorso sulla poesia che i tre libri intavolano (verbo centrale-matematicomusicale-materico nel Ricercar di Miglio)
con i loro autori. Quale sia la direzione
la indica Cortellessa quando dice di non
voler leggere Zanzotto sotto il segno di
Lacan o di Heidegger ma al contrario Lacan attraverso Zanzotto. Cosa significa?
Significa capire (è il lavoro che ha fatto
anche Manuele Gragnolati in Amor che
move leggendo per diffrazione Pasolini, Morante e Dante) quanto in Zanzotto
come in Celan agiscano e reagiscano
non solo altri autori ma altre letture apparentemente distanti, dall’astronomia alla
geologia, dalla psicanalisi, alla fisica). In
questo senso tutti e tre i libri si configurano come un Midrash: affondo, svisceramento, distensione: orizzontalità dopo
la verticalità della prima lettura, indagine
degli spazi e non solo dei tempi, ascolto
di una musica che non è musicalità, di
un canto dissonante e di una ininterrotta
serie di domande relative alla tradizione,
di timbri e toni, di distensione sul tavolo
di lettura di strumenti diversi.
Fossili ma non morti questi tre saggi
dichiaratamente (e finalmente) vogliono
saggiare il terreno dei testi che percorrono, come ha fatto Massimo Palma nel
suo libro I tuoi occhi come pietre. Trauma
e memoria senza narcisismo ma anche
senza nascondersi dietro un’imperturbabilità accademica.
Fossili ma non morti Celan e Zanzotto si parlano a dispetto dello spazio e
del tempo. Uno sembra anticipare le domande dell’altro e l’altro rispondere nella
distanza. Entrambi sono la dimostrazione
che scrivere poesia dopo Auschwitz e
dopo Hiroshima è possibile a patto che
non sia “un canto di usignoli”, una riproduzione di presunta armonia ma che si
scriva da dentro quelle esperienze. Accusato di trobar clus, Zanzotto è diventato
uno dei testimoni della “mattanza del nostro paesaggio” in grado di mostrare il degrado proprio attraverso lo smottamento
del linguaggio.
La consapevolezza della inutilità, marginalità della poesia si consuma brevemente in Celan, morto nel 1970, si attarda
nella biografia di Zanzotto in una condizione invernale, saturnina, inospitale ma
non inaridita del tutto perché attraversata
da un “eppure” che detta quel capolavoro della senilità che è Conglomerati del
2009.
Fossili ma non morti, oscuri ma non
ermetici, spesso non accolti, spinti fuori
dal cerchio della realtà fino a una zonapalude in cui regnano l’insensatezza e
quell’irrealtà – che è – chi la conosce sa
di cosa parlo - una delle esperienze più
infernali che la nostra mente può attraversare Celan e Zanzotto si parlano a
distanza e nella distanza si differenziano.
A Zanzotto dobbiamo uno dei primi riconoscimenti di Celan, ma lui che di Celan
sarebbe stato il traduttore ideale, quasi
predestinato, a quella traduzione si sottrae e – dice Cortellessa – si salva.
C'è una novità che si può intuire in questi testi, un movimento nuovo, un andare
verso quella critica inquirente e amante
di cui parla Marina Cvetaeva in Il poeta e
il tempo: un'opera va letta interamente
prima di emettere un giudizio attraverso
uno sguardo formato, informato, ma non
distante: niente plurali, nessuna affettata
impersonalità ma anche nessun autoscatto
in posa. I critici e il poeta-saggista di questi
tre libri dicono, senza per questo perdere
di autorevolezza, che hanno messo il loro
tempo che significa il loro corpo, la loro vita,
a fronte di questi libri, che si sono da loro
lasciati urtare, modificare, impressionare
come “lastre” (lo scrive Alessandro Baldacci
a proposito di Zanzotto).
La malattia travolge Celan, l’accusa di
plagio da parte della vedova Goll scardina
le apparenti sicurezze, rosicchia persino i riconoscimenti. In Ricercar per verba Camilla
Miglio ricostruisce le connessioni, le citazioni, i richiami, le trasformazioni di questa
poesia in un discorso che riflette (e quanto
tutto questo sia attuale non ha bisogno di
commenti) su geografie divoratrici di storie,
confini. La poesia non è mimesi, ma realtà,
non solo non si impone ma lascia passare
(alla relazione con l’ebraismo Camilla aveva
dedicato la sua attenzione già in Vita a fronte) attraverso la sua porosità di poesia-pelle,
ma anche attraverso le grate di un linguaggio ferita-feritoia.
Scrivere è sempre stringere insieme. La
tradizione per Celan come per Zanzotto è
ripetizione nel senso di un ripetere- chiedere di nuovo ai testi. Entrambi (Cortellessa)
non solo ricordano ma anticipano le loro
fonti. Tra tutte queste reti lanciate a nord
del futuro, una constatazione: Zanzotto
che invecchia sembra realizzare, portare
a compimento una delle tante possibilità
dell’opera di Celan. Cortellessa si addentra,
e giustamente cita Ripellino che si addentra
nei territori di Chlebnikov, paragonandosi
a Livingstone, nel tardo Zanzotto fino ad
afferrare il suo diverso, mutevole rapporto
con la morte. Il tempo è ferita, taglio, temnos ma anche tempio dei luoghi. L’attrazione-repulsione verso la morte lascia spazio a
una domanda sul nostro essere paesaggio
per quanto continuamente sbarrato. La poesia, dice Zanzotto è un contagio, parola
medica vicina al suppurare che troviamo in
Matière de Bretagne, il testo scandagliato,
smembrato da Waterhouse (e cardine del
trattato di economia poetica tra Simonide
e Celan in The Economy of the Unlost di
Anne Carson). Dunque macerie, margine,
mal-adattamento della poesia alla società
del guadagno ma anche un vocativo che
continua nell'inospitalità, nel sorriso scaleno
di Zanzotto che può ricordare il riso sommesso-frusciante come carta che sembra
avesse Kafka.