Recensioni / L’antenato Novello

Dopo tutto, gli anni 30 del secolo scorso non erano poi così lontani dai 20 che stiamo vivendo; e se la satira di costume è un formidabile specchio della società italiana, delle sue eterne magagne che la rendono così terribile e spassosa, ecco che con un sentimento di pacificata allegria varrà la pena di salutare il ritorno del più elegante, poetico, lieve, ma forse proprio per questo anche del più crudele fra tutti i vignettisti: Giuseppe Novello (da Codogno, 1897-1988) di cui Quodlibet ripubblica, con felice intuito d'attualità, Il Signore di Buona Famiglia (16 euro), uscito per la prima volta nel 1933.
O almeno: basta dare un'occhiata alle sue 101 tavole e godersi, possibilmente in compagnia, qualche lapidario testo per scoprire immediatamente come tutti i grandi di oggi, da Forattini a Staino, da Bucchi a Mannelli, da Vincino a Makkox fino a Osho, siano in debito con questo vignettista che proietta la sua eredità addirittura sugli anonimi meme dei social. Alcuni suoi epitaffi sono parte dell'immaginario italiano. Mesto e silenzioso gruppo di famiglia al bar: "Quando anche la ghiacciata di marene è finita". Ragazzo occhialuto a disagio in palestra tra gli sghignazzi dei compagni: "Il primo della classe è deboluccio in ginnastica". Uomo seduto sul letto con le mani tra i capelli: "L'invitato che sta ripensando a una sua gaffe". Elegantone che fuma con aria sdegnosa: "Il signore che ha sbagliato treno e non se n'è ancora accorto" e quello che, con specialissimo passo obliquo, "sa tagliare la corda ai funerali". Foto ricordo di gruppo troppo affollata rispetto all'obiettivo: "L'inutile sorriso dei tagliati fuori".
Il tratto espressionistico di Novello ricorda un po' Grosz; così come il suo bersaglio preferito, non potendosi esercitare contro il potere, è la borghesia, messa a nudo e pizzicata senza pietà. Quindi tic, vanagloria, malintesi, miserie, ipocrisie: fidanzate con mamme mostruose, parenti poveri di cui vergognarsi, regali di cattivo gusto, matrimoni andati a monte, cacciatori di eredità, subdoli assalti al buffet, platee fintamente interessate, istrioni cui nessuno ha il coraggio di dire che tutti ridono per via della patta dei pantaloni sbottonata. Sullo sfondo, ninnoli e vecchie fantesche, lampadari e simulatori seriali avviati verso la catastrofe. Si direbbe un anatomo-patologo del malessere con lampi di raffinatissimo acume. Novello fu artista generoso e mansueto, da alpino si fece due guerre e un campo di concentramento per non aderire alla Rsi. Alla Stampa faceva coppia con un principe del giornalismo come Paolo Monelli. In alcune vignette lo si riconosce come una figurina sottile e con il nasino leggermente a punta, l'aria perplessa dinanzi ai buffi impicci dell'esistenza.

Ascolta l’articolo letto da Filippo Ceccarelli.