La casa editrice Quodlibet ha pubblicato la riedizione di un testo, uscito da noi nel 1994, dello scrittore Georges Perec (Parigi,1936 – Ivry-sur-Seine,1982), sempre con la brillante traduzione di Roberta Delbono, titolo: L’infra-ordinario.
Perec è una delle maggiori glorie della letteratura francese contemporanea. Raggiunge gli onori letterari con il suo romanzo d’esordio, “Le cose” ,1965.
"La cosa",(traduzione italiana di Sabina Sacchi, EDB) invece, è del 1967, anno in cui Perec entra a far parte dell'Oulipo.
Tra gli altri suoi titoli: “La disparition” (1969), “W ou le souvenir d’enfance” (1975), “Je me souviens” (1978), “La vita istruzioni per l’uso” (1978), il suo romanzo più famoso, tradotto in tutto il mondo.
Nato e vissuto a Parigi, figlio di ebrei polacchi (il padre muore in guerra nel 1940, la madre nel ’43 deportata e uccisa in un campo di concentramento nazista), servizio militare nei paracadutisti, psicoanalisi presso Lefèvre-Pontalis, Perec, fu a lungo archivista al Cners, e da sempre appassionato di enigmistica.
Nel nostro tempo infestato da tanti romanzieri giallisti o nientisti è una gioia ritrovare un autore come Georges Perec.
Perec, lo ricordo ai più distratti, è tra i protagonisti dell'Oulipo.
“Dell’Oulipo, Georges” – scrisse Italo Calvino, oulipiano anch'egli – “era diventato il maggiore esponente, e almeno due terzi della produzione del gruppo erano opera sua”.
Alla domanda “Chi vorrebbe essere?”, postagli da uno studente che preparava una tesi sull’opera perecchiana, rispose “Uomo di lettere”; preciserà, poi il senso che volle dare a quelle sue tre parole: “Un uomo di lettere è un uomo il cui mestiere sono le lettere dell’alfabeto”.
Su quelle lettere ha lavorato creando una poetica ispirata prevalentemente a principii matematici, scacchistici, geometrici, ludonumerici e ludolinguistici.
Si pensi, ad esempio, a quel suo testo lipogrammatico di trecento pagine,La disparition, 1969 (La scomparsa, traduzione italiana di Piero Falchetta, Guida, 1995 - seconda edizione 2007) scritto senza mai usare la vocale "e" al quale fa seguito un secondo lipogramma, a specchio de “La Disparition”, intitolato “Le ripetizioni” nel quale, invece, utilizza come sola vocale in tutto il testo proprio la lettera "e".
Il discorso di Perec e degli oulipiani travolge tanti oziosi dibattiti fra convegni del Nulla e blog dello Strepito sui troppi, inutili, romanzi odierni. L’Oulipo, infatti, è, prima dell’era informatica, uno dei più avanzati esempi di letteratura che si avvale di tecniche scientifiche. Si pensi ai “Centomila miliardi di poesie”, di cui Queneau ci fa leggere solamente i dieci sonetti base che permettono di produrre cento mila miliardi di poesie, testi che per leggerli tutti occorrerebbero quasi duecento milioni di anni leggendo 24 ore su 24. Si arriva così alla realizzazione di un libro esistente ma impossibile da leggere tutto. Oppure si pensi al diagramma di flusso usato - in modo rigoroso e comico a un tempo – da Perec in “L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento”, scritto breve che nella sua brevità contiene l’infinibile.
Già nel 1975, anno della pubblicazione in Francia di “L’infra-ordinario”, si era invasi e sopraffatti dall’uso scriteriato della definizione di “straordinario”, oggi è ancora peggio: da ricordare è solo lo "straordinario". Scrive Perec: “Quel che ci parla, mi pare, è sempre l’avvenimento, l’insolito, lo straordinario: articoli in prima pagina su cinque colonne, titoli a lettere cubitali. I treni cominciano a esistere solo quando deragliano, e più morti ci sono fra i viaggiatori, più i treni esistono; gli aerei hanno diritto di esistere solo quando sono dirottati; le macchine hanno come unico destino quello di schiantarsi contro i platani: cinquantadue week-end all’anno, cinquantadue bilanci: tanti sono i morti e tanto meglio per l’informazione se le cifre non fanno che aumentare! Dietro a un avvenimento ci deve essere uno scandalo, un’incrinatura, un pericolo, come se la vita dovesse rivelarsi soltanto attraverso lo spettacolare, come se l’esemplare, il significativo, fosse sempre anormale: cataclismi naturali o sconvolgimenti storici, conflitti sociali, scandali politici”.
Le pagine di “L’infra-ordinario” portano l’attenzione (e l’implicito invito a fare attenzione) all’infinito contenuto in piccole cose (una penna stilografica) o rapide immagini (un gatto che corre), cose e fatti che se trascurati sfuggiranno per sempre alle nostre vite, inghiottite dalle tenebre della mancata memoria.
Attenzione, ad esempio – com’è scritto nella presentazione editoriale – del quotidiano cibarsi, e Perec fa l’inventario, comico e indigesto nella sua riassuntiva catalogazione, di tutto ciò che ha ingurgitato nel corso di un anno, il 1974: “sette galline bollite con riso, settantacinque formaggi, sette zampini di maiale” ecc. Poi come scrivere automaticamente duecentoquarantatré cartoline, tutte diverse, di ordinari saluti estivi usando solo cinque frasi elementari in tre varianti.
Scrive Ermanno Cavazzoni su “La Stampa”: L’infra-ordinario, uscito in Francia nel 1989, sette anni dopo la morte di Georges Perec, raccoglie una piccola serie di scritti sparsi degli anni ’70, che parlano di ciò che è talmente ordinario e scontato, e sotto gli occhi di tutti, che neppure lo si nota durante la nostra vita corrente, né lo si pensa possibile oggetto di letteratura. (…) È il transeunte a cui non si presta attenzione, e che però è la veste che si mette il tempo, che genera poi nel ricordo la malinconia. Questa idea di ritagliare una fetta di tempo c’è anche in un buffo e stomachevole scritto, che è l’elenco dei cibi solidi e liquidi ingeriti durante tutto il 1974; che verosimilmente viene dall’accumulo delle ricevute delle trattorie dove pranzava, col tipico lessico da lista dei piatti; per cui risulta che nel ’74 ha mangiato: «nove brodo di manzo, una minestra di cetrioli ghiacciata ... un salume italiano ... quattro testina di vitello», e via via.
Dalla presentazione editoriale. Firmata E.C. in cui è facile riconoscere le iniziali di Ermanno Cavazzoni. «Un libricino pieno di semplici genialità, come riesce di norma a Perec, parlando dell’ordinario quotidiano. Ad esempio, di tutto ciò che ha mangiato nel corso di un anno, il 1974. Poi come scrivere automaticamente duecentoquarantatré cartoline, tutte diverse, di ordinari saluti estivi usando solo cinque frasi elementari in tre varianti. E l’osservazione di una via di Parigi in sei date diverse, i negozi, le insegne, le scritte occasionali, le facciate, cioè tutto ciò che è sotto gli occhi, così ovvio che non lo si nota, ma esiste per un attimo poi sarà perduto per sempre. Questi scritti pubblicati tra il 1973 e il 1981 sono stati raccolti in libro nel 1989».