Recensioni / Condannate Spinoza

Nel 1677 lo scienziato Niccolò Stenone denunciò al Sant’Uffizio la dottrina del filosofo olandese, che «odorava» di ateismo. Ora torna in fac-simile l’«Opera Posthuma» che aiuta a capirla meglio.

Erano passati pochi mesi dalla morte di Baruch Spinoza (21 febbraio 1677) quando lo scienziato danese Niels Stensen (Niccolò Stenone) , luterano, di recente convertito al cattolicesimo, segnalava alla Congregazione del Sant’Uffizio i pericoli gravissimi della dottrina di Spinoza che aveva personalmente conosciuto a Leida: «Sarà già da altri data informazione al S. Uffizio di quanto male la nova filosofia abbia partorito per mezzo di un certo Spinoza di Olanda; nondimeno la gravezza del male, ed il pericolo della propagazione dell’istesso male sono di tanta considerazione, che non si può stimar troppa ogni sollecitudine impiegata in scoprirlo maggiormente ed in cercarne opportuni rimedi, sì in preservazione d’altri che non se ne infettino, come in curazione di quelli, che già ne sono avvelenati, se sarà possibile». Spinoza, insisteva Stenone, era di fatto «senza ogni religione» e «spiegava tutto per la sola materia».
La segnalazione di Stesone ebbe subito l’effetto di provocare un’inchiesta in Olanda nel settembre dello stesso anno, sollecitata dal cardinale Francesco Barberini, per sapere, tramite il vicario apostolico nelle Provincia Unite, se circolassero manoscritti di Spinoza «in materia di ateismo» e «pregiudiziali alla purità della nostra santa fede cattolica».
In effetti un’edizione postuma degli inediti di Spinoza era in preparazione presso l’editore Jan Rieuwertsz (secondo la volontà dello stesso Spinoza) e sarà finita di spampare nel dicembre del 1677 (parallelamente a un volume con la traduzione olandese), per essere messa in distribuzione agli inizi dell’anno seguente. Con particolare sollecitudine, Il Sant’Uffizio metteva all’Indice nel 1679 l’Ethica, Il Tractatus politicus, e le Epistolae, insieme al Tractatus theologico-politicus già pubblicato anonimo nel 1670, non compreso nelle Opera posthuma che saranno esplicitamente inserite nell’Indice il 1690.
Le Opera di Spinoza, che comparivano con le sole iniziali del nome (B.d.S), ebbero subito grande diffusione, per poi diventare oggetto bibliografico di grande rarità. Oggi sono nuovamente e facilmente accessibili grazie a una perfetta riproduzione faximilare pubblicata da Quodlibet nella nota collana «Spinozana»: introduce questa ristampa una puntuale nota al testo e alla sua storia, dovuta a Pina Totano, curatrice del volume, che ha già dato l’edizione con traduzione e commento del Tractatus theologico-politicus (comparsa da Bibliopolis) ed è autrice di molti contributi critici e lessicografici spinoziani. La prefazione è di Filippo Mignini, che di Spinoza ha diretto un’edizione italiana presso Mondadori.
Non si dirà mai abbastanza bene delle edizioni facsimilari di edizioni originali di grandi classici, soprattutto quando sono proprio quelle edizioni a rappresentare l’ultima volontà dell’autore (anche ove non siano state curate da lui): e soprattutto sono quelle che hanno fatto conoscere e circolare le idee, «incarnate» per così dire in un tipo determinato di pagina, di caratteri, di paragrafature, spesso con significativi apparati paratestuali.
Da Leibniz a Jacobi, da Bayle agli illuministi con tutti gli autori di tanta letteratura clandestina, in questa edizione Spinoza è stato letto e discusso, anche dopo la pur significativa nuova raccolta di scritti spinoziani che ne diede Gottlob Paulus nel 1802-1803, alla quale collaborò Hegel.
Sicché quelle Opera posthuma del 1677 restano ancor oggi fondamentali per gli studi spinoziani: è lo Spinoza letto per secoli, accompagnato dalla lucida introduzione di un suo amico e ammiratore, Jarig Jelles, ove centrale si impone il tema della retta interpretazione della Scrittura e del dovere della tolleranza («tolleranza che non si estende solo a coloro che si sono macchiati di pochi errori, ma anche a quelli che errano negli articoli di fede fondamentali ed essenziali»), con il prezioso Index rerum dovuto probabilmente a un altro amico, Lodewijk Meyer.
E se vari contributi sono stati portati alla filosofia spinoziana per nuove edizioni critiche (anche con il confronto della contemporanea traduzione olandese, dovuta fra l’altro a un grande traduttore come J. Glazemaker) sembra difficile che una futura edizione «critica» possa sostituire definitivamente la diretta lettura dell’edizione originale di queste Opera posthuma.

Tullio Gregory
Il Sole24Ore, Domenica 7 dicembre 2008, p. 48