Recensioni / L'antropologia di Moro e Niola supera l'analisi del cibo di Barbero

Tutto comincia con un morso quando Eva, consumato con Adamo il primo pasto dell'umanità, dà inizio alla storia del mondo. Non sappiamo che ora fosse: il primo libro della Bibbia (Genesi) non lo dice; ma è facile immaginare che si trattasse dell'alba, l'alba del tempo che ancora stiamo vivendo. «Gli orari dei pasti sono il ritmo della nostra vita che siamo abituati ad accettare come naturale»: con un aureo libretto - A che ora si mangia? - Alessandro Barbero, professore di Storia medievale votato alla divulgazione popolare, riempie un vuoto storiografico dimostrando che non c'è niente di naturale nella storia dell'uomo.
Fra il Settecento e l'Ottocento c'è un momento in cui «l'orario dei pasti» entra a pieno titolo nel farsi e disfarsi della storia. con tutto il suo valore immaginario e simbolico, dopo che l'aristocrazia di Parigi e Londra impone alle classi elevate la moda di spostare l'ora del pranzo nel pomeriggio inoltrato. Se a Konigsberg la tavola di Kant veniva imbandita all'una di ogni giorno, nel secolo dopo a Milano Alessandro Manzoni non pranzava mai prima delle cinque del pomeriggio. A St. Cloud, la corte postrivoluzionada di Napoleone segue la moda di classe e si siede a tavola anche alle sei. Ben presto la cena sparisce dalla ritualità prandiale, ma viene rafforzata la colazione che in francese diventa en fourchette, con la forchetta. Ne nasce una questione lessicale - dalla scomparsa del francese souper alla confusione fra colazione e pranzo - che arriva fino ai moderni dizionari.
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