Recensioni / Com'è corporea la musica

Uno dei luoghi comuni più inossidabili intorno alla musica è, dopo il presunto carattere “universale”, quello di essere l’arte più astratta, quasi incorporea. Ben vengano allora due novità editoriali che simultaneamente rovesciano tale assunto con ricchezza di documentazione e profondità di analisi. Il primo testo, dal titolo Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz (Il Mulino), porta il nome di Davide Sparti, filosofo e docente all’università di Siena, già autore in passato di innovativi studi sul jazz. In questo nuovo volume l’autore si sofferma in particolare su quel carattere orale e performativo (dunque corporeo) che la tradizione colta dell’Occidente ha da secoli emarginato e che il jazz, assieme ad alcune avanguardie del Novecento, ha riportato in primo piano. A ragione viene evidenziato come tale processo storico si accompagni ad un progressivo videocentrismo che, secondo Sparti, «pone grande enfasi sull’oggetto compiuto e definito, e che ha sancito l’esistenza di un luogo per venerarlo: il museo». Da tale critica, unita all’assunzione di concetti e pratiche come l’improvvisazione (centrale nel jazz), emergeranno spunti «anche a coloro che intendono studiare al dimensione performativa e carnale dell’agire in generale». Alla nozione di “corpo sonoro” rimanda anche l’altro volume, Musica Corpo Espressione (Quodlibet editore), scritto da Carlo Serra, filosofo della musica e docente all’università della Calabria. L’autore, che da anni indaga le morfologie dello spazio musicale e le strutture ritmiche, pur facendo tesoro di riferimenti comuni al testo di Sparti (musicologi come André Schaeffner e musicisti come Edgar Varèse) trae delle conseguenze diverse, se non opposte, rispetto alla tradizione musicale dell’Occidente. Infatti il “corpo sonoro” di cui parla Serra fa tutt’uno con il suono musicale e il progetto espressivo (matematica più emozione) inaugurato nella Grecia antica. Secondo l’autore, «a differenza dei rumori, il corpo sonoro dei suoni musicali è levigato, rimanda a se stesso, ed è dominabile, laddove il rumore rimanda ad un’interazione relativamente casuale con la cosa, e con la sua concretezza ». Ma quello che Serra chiama «rumore» non sarà forse il «simbolo sonoro», essenza di tutte le cose e dunque tutt’altro che casuale, come insegna la filosofia simbolica di Marius Schneider, curiosamente definita nel libro «opaca, ma affascinante»?