Quei marmi, come rifugio dell'anima. In ogni verso, in ogni sua riga
di prosa c'è il senso di uno smarrimento, di una deriva così centrata da
trascendere ogni singola barriera e
da rendersi fascio di luce e di ombra.
In questo tramonto, poco lontano da
via Giulia, tra petali cremisi di ultime speranze, la poetessa Ingeborg
Bachmann contempla ciò che è stato.
Ha già vissuto a Roma, lungamente.
Negli anni cinquanta. Corrispondente d'eccezione per giornali tedeschi e
per la radio di Brema. Appassionata
e disincantata al tempo stesso cantrice di questa città, mutila e spiritualmente ancora aperta, annerita dalla
foschia della guerra. Con analitica
dovizia, passa in rassegna gli eventi e
gli avvenimenti più rilevanti. Rilevanti, sia ben inteso, per la sua cristallina sensibilità. La cronaca nera
che già in quei proto-albori della società dello spettacolo impestava e
squassava le viscere del popolino,
col delitto Montesi e la salma annegata, così plastica, cosa armonica, fotografata sulla sabbia di Torvaianica,, in un gemellaggio postumo con la
posa funebre di Sylvia Plath. Il corpo
proteso in avanti, le gambe parallele,
quasi marziali, e la girandola stordente delle indagini, i nomi illustri e
altisonanti caduti dentro e poi di volta in volta usciti. Il caldo, rarefatto, la
linea azzurra d'orizzonte, e le dune
di macchia mediterranea in uno spazio malarico, due uomini fissano un
piccolo crocifisso malmesso, di canne intrecciate, infisso nel ventre ocra
della sabbia. "L'aria è afosa, /schiuma la luce di acidi e fermenti, / grava
sulla palude nero il velo di zanzare".
L'orgia carnografica di nomi rutilanti, caleidoscopio di esistenze irrisolte che nel caos cercano la propria
conformazione e la propria icona traslucida. Politica, narcisismo, figli di
una Roma bene, sessualità deviate e
sadiane, la spiaggia, sempre, con i
suoi ricordi di risacca e di brezza
profumata di salsedine e una nobiltà
falsata che pure, nella giovanissima
Repubblica, ancora lasciava vanto
del proprio passaggio. La Roma della
Bachmann è un perenne carnevale
dei sensi e della miseria, della grandezza e di una quiete irrisolta. Caoti
ca, vociante, frizzante, colma di gelidi silenzi, questa Roma, su cui lo
sguardo della poetessa si appunta
con divertita ed emozionante partecipazione, è un laboratorio di osservazione, un campo largo che si apre
sull'Italia intera e sull'Europa.
Le catastrofi che squassano la
Campania, la dolce vita capitolina,
l'espansione tentacolare della mafia
che dal profondo Sud inizia a mettere radici sempre più evidenti nel
cuore della Capitale, lambendo, e
più che solo lambendo, la vita politica, il moralismo nel partito comunista, tra scappatelle familiari di bordello e le conseguenti purghe burocratiche. Mascherandosi dietro lo
pseudonimo Ruth Keller, la Bachmann percorre in lungo e in largo
il brulicare intenso di vita in una città in cui tutte le identità si rendono
una cosa sola con quelle statue e
quei lineamenti porosi di chiese e
rovine e lavori industriali ehe cercano di condurre ad un ammodernamento infrastrutturale, Termini, la
metro B, patetica nella sua scarsità
di corse e nel suo sferragliare, dì un
agglomerato che respinge, per suo
stesso statuto costitutivo, qualunque
ipotesi di modernità, Gli scritti "romani" della Bachmann sono stati
raccolti e pubblicati dalla Quodlibet
nel volume "Quel ehe ho visto e udito
a Roma", originariamente uscito nel
2002 e che poi ha conosciuto ulteriori edizioni riviste e aggiornate nel
2013 e nel 2022.
Uno spaccato rilevante, cronachistico ma delizioso nella forma e nella prosa usata, e purissima biografia
di una autrice, autentica donna europea, che giunta in Italia per amore
vi rimase sublimando l'amore per un
uomo in amore per l'eternità. Dagli
anni sessanta, infatti, la Bachmann
si trasferì definitivamente a vivere
nella Città eterna. E qui, nella sua
casa di via Giulia, nel 1973, assopita
in una alchimia di sofferenza e di
frammenti di memoria, si farà letteralmente fiamma, nello strazio che
sempre è divisa araldica di ogni vero
poeta. "Su una terra straniera I tra
rose e ombre/in un'acqua straniera /
la mia ombra".