A più di quaranta anni dalla sua scomparsa, Beppe Viola
rimane un esempio straordinario di inclassificabile. Inutile
rincorrere le etichette, le cose
fatte, scritte o dette, perché
nessuno di questi pezzi è in
grado di contenere chi fu Beppe Viola, autore, giornalista e
funambolo. Nato a Milano e di
Milano figlio e padre al tempo
stesso, Viola seppe disegnare
(e insegnare) una traiettoria
impensabile, ma precisa verso
la felicità. Libro esemplare di
un uomo particolare, resta,
ora nuovamente in libreria da
Quodlibet, Vite vere, compresa la
mia. Vera e propria autobiografia in forma di compagnia, delle persone amate e di quelle
meno, dei momenti passati,
belli e tristi, veri e praticamente veri. Frutto di una collaborazione con la storica rivista Linus, Vite vere compresa la mia è
la geografia di un mondo che
alla fine degli anni Settanta rifiutò il piombo e la noia, la durezza e il disincanto per dare
forma al gioco e all'intuito, al
gesto e alla bizzarria come forma di quotidianità.
Sopra ogni cosa, evitare dunque la nostalgia, il refrain di un
tempo andato che non tornerà
più, perché a tornare c'è sempre tempo. Basta ricercare il
senso, basta tenersi la voglia
sempre pronta, perché quel
tempo, quello raccontato nei
bellissimi pezzi beckettiani di
Beppe Viola è un tempo certamente immaginato e in parte
sognato, ma realissimo, a tratti anche duro seppure sotto
l'ombra del sorriso sempre acceso. Viola non finge, non nega, non insegue la parodia spuria, o il semplice gioco linguistico, ma accende la realtà trasformandola in un sogno vivente dentro al quale chiunque è accolto, come ad un carnevale. Come ad una festa che
è la giornata in ufficio, la corsa per prendere il tram, l'ansia per la fine mese che arriva
sempre troppo presto sul calendario. Il gioco per davvero
sempre senza infingimenti,
senza bisogno di maschere,
tempi accordati e regole stringenti, il momento giusto è
sempre quello buono, non
conta se la giornata chiama sole o pioggia. Una prontezza di
riflessi che è tutta nello spirito, in una visone inclusiva della vita. Popolare in un senso
lontanissimo dall'oggi in cui
quella parola è così straziata e
banalizzata.
Una Milano che sfugge al moralismo senza bisogno del gioco
al ribasso di un Cavaliere allora non ancora presente. Il magheggio come forma d'arte contro i soliti noti che alle poltrone, al ruolo, all'etichetta hanno sacrificato ogni forma di felicità. Beppe Viola dunque come maestro: dei giorni tutti inseguiti, degli amici che non
mancano mai, dei soldi che se
vengono è solo perché poi se
ne devono andare.
Vite vere compresa la mia è una
cerimonia degli addii senza sapere di doversene andare, che
comunque anche a saperlo è
sempre troppo presto. La vita
presa nel suo movimento, derisa e attraversata con la leggerezza acutissima di un Raymond Queneau milanese, tra
viale Argonne e via Lomellina,
tra il Milan e Jannacci. Sintesi
perfetta di una formula magica, quella della scrittura come
scorribanda, fatta però di esercizio duro e continuo, attento
e preciso. Una lingua priva di
malinconia, una festa per il
cuore.