A conferma che la poesia possa arrivare da posti in cui mai lo crederesti possibile, nasce e vive da settant’anni a Sassuolo, il più importante distretto industriale per la produzione di ceramica nel mondo[1], Emilio Rentocchini uno dei più importanti poeti italiani contemporanei.
È recentemente uscita per Quodlibet, nella collana Ardilut[2], la raccolta delle 300 ottave di Emilio Rentocchini[3], poeta che, parole sue, arriva da un popolo di San Tommaso pur cui credere significa toccare e che quindi oppone la sua poesia ad altra poesia contemporanea che gli sembra – e pure io condivido- spesso anoressica e anaffettiva. Il poeta racconta Sassuolo, i sassuolesi, la campagna emiliana, le curve della Secchia, gli Ipercoop, l’Apecar, ma quella geografia esplode nelle sue rime in mille piccoli pezzi che ricomponiamo trovandoci dentro la nostra, i nostri luoghi, i nostri amici, sia quelli morti che quelli vivi. Soprattutto i vivi che non riusciamo più a vedere tra i vivi.
Emilio Rentocchini è, credo, l’unico poeta vivente al mondo che ha sempre pensato le proprie poesie in ottava[4] e, se non bastasse a rendere originale quanto intrigante la forma scelta per scrivere, le poesie di Emilio Rentocchini sono nella prima parte
scritte in dialetto (ovviamente sassuolese, dialetto che Rentocchini non parla) in ottava vera e poi
completate da una seconda, che non va considerata come una semplice traduzione ma come parte integrante e non speculare, scritta in italiano, non una traduzione ma una mutazione governata dall’autore stesso.
Non c’è interruzione tra la parte in dialetto e quella in italiano, persino lo spazio bianco tra le due parti, ci dice l’autore stesso, è una terza lingua tutta echi e ombre. Non una nuova lingua ma una specie di luogo, una radura domestica dove fermarsi per permettere ai nostri altri luoghi, quelli comuni, di scomparire. Un’unica poesia dove due lingue cercano tra loro un equilibrio a una collaborazione. Persino bella da vedere stampata sulla carta, ordinata e pulita nei ritmi e nello spazio grafico.
La poesia di Rentocchini si ama perché si riconoscono, attraverso i suoni delle parole, prima ancora dei significati e delle visioni, i luoghi più nascosti di noi stessi, i buchi, gli scavi, le ombre e poi, solo un microsecondo dopo, tutto quello ritorna nascosto. Forse proprio nello spazio bianco.
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[1] Anche se l’Italia è stata superata nella produzione di metri quadrati dalla Cina e da altri paesi come Spagna, Brasile e Turchia, India (ironia sta anche nel fatto che molte fabbriche in questi Stati hanno nomi tipo Venice, Italceramica, CeraCasa e altro) Sassuolo continua, superate diverse crisi in questi ultimi anni, ad essere un punto di riferimento per il mercato mondiale di produzione delle piastrelle in ceramica con un mercato prevalentemente rivolto all’estero. In ogni caso il paesaggio tipico sassuolese resta il bancale di piastrelle.
[2] Il disegno dell’ardilut (valeriana selvatica), scelto dal giovane Pier Paolo Pasolini per le sue pubblicazioni in friulano, viene qui ripreso come simbolo della collana,
[3] In un documentario di diversi anni fa Gianni Mura, raccontando di questo autore disse: “Sassuolo sta a Rentocchini come la gobba a Leopardi”.
[4] L’ottava rima, o semplicemente l’ottava, è una strofa di otto endecasillabi rimati, di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata (ABABABCC). È il metro usato nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
284
A Leo
Chi ha méss tri autovelox a Maranel
tuland in gir la storia d’ na sitê,
per dirla com as dis, l’è un bel usel.
Me an so mea dir c’sa sia velocitê
ma quand a viva Gilles sul prém canel
tórs via al casco da cin col sguerd spaesê,
velocitê am pariva nostalgia
e Gilles n’orfan ch’l’ha int i oc la sô famia.
Chi ha messo tre autovelox a Maranello
prendendo in giro la storia di una città,
per dirla come va detta, è un bell’uccello.
Non lo so cosa sia la velocità
ma quando vedevo Gilles sul primo canale
togliersi il casco come un bimbo dallo sguardo spaesato,
velocità mi sembrava nostalgia
e Gilles un orfano che ha negli occhi la sua famiglia.
291
La tecnica l’è un quel fondamentel
quand la s’anólla a fiê ‘n la fluiditê
ed quell ch’as vliva dir, cherna e servel
mantechê al fógh, di vocaléss pensê
savand ch’anch al belcant sperimentel
l’ha n’anma verta a l’espresivitê,
muntères da nimê, vleirs bein da sant,
al douls e al brósch d’amour, ecco l’incant
La tecnica è una cosa fondamentale
quando s’annulla nella fluidità
di ciò che si vuol dire, carne e cervello
mantecati al fuoco, vocalizzi pensati
sapendo che anche il belcanto sperimentale
ha l’animo aperto all’espressività,
montarsi da animali e volersi bene da santi,
il dolce e il brusco dell’amore, ecco l’incanto.