Recensioni / Nei versi di Rentocchini vive la ricchezza familiare del dialetto

Gode di fama nazionale Emilio Rentocchini che con "Lingua madre. Ottave 1994-2019" (Quodlibet edizioni) raggiunge i vertici della bella poesia scritta, per così dire, nel diale tto di Sassuolo e in italiano. Una raccolta sorprendente perché l'autore sassolese porta, con genialità, a rinnovamento la tradizione metrica, appartenente alla poesia epica e narrativa, trasformando ogni ottava i n poesia autonoma di natura lirica.

"Lingua madre" è il suo ultimo libro che raccoglie 300 ottave. Cosa rappresenta per lei l'ottava?
«Come l'arco dei portici di Piazza Piccola a Sassuolo si ntetizza, figura e trasfigura la mia piccola città, così l'ottava fa con le parole-cose che mi assediano e mi attirano, mi tormentano. E in lei si salvano, si placano. In quello scrigno di ragnatela ho l'impressione che fioriscano come parole-suono lievitate in terra azzima».

Perché fa ricorso al dialetto?
«Mi permetta di rispondere con alcune frasi di una intervista fattami qualche anno fa da Daniele Benati, perché non riuscirei a dire meglio. "Ho cominciato a scrivere e pubblicare solo quando mi sono accorto di essere fuori tempo massimo, dopo che nessuno di quanti conoscevo si era piegato a raccogliere la ricchezza familiare del dialetto, la sua atmosfera. Mi ritrovavo così a 35 anni con una lingua dolce e moribonda da accudire, in cui far confluire il mio presentein un ntoforse,vivihcante, e certo estremo, per lei e per me"».

Come si pone poi la "traduzione" in lingua italiana?
«È l'altra riva dello stesso fiume».

"Rentocchini - scrive nella prefazione Giorgio Agamben - non parla il dialetto. Lo usa come lingua d'arte e lo sposta al di là dei suoi confini, in bilico fra le due lingue...". In che senso?
«Nel senso che il dialetto non si inisce in se stesso, né tante volte lì comincia, ma continuamente dialoga con l'italiano in un moto palindromo in cui si genera l'energia poetica deltesto».
Qual è la vera "Lingua madre" che dà intitolo allibro? «Naturalmente la lingua della famiglia, che s'incarna nel respiro materno, e fa della distanza, della perdita, terra futura».

Quali i motivi dominanti di questo volume?
«Dopo trent'anni, ho quasi la sensazione di avere congegnato e organizzato 300 piccoli appunti in versi sulle tre grandi 'invenzioni' umane: il tempo, la parola, l'anima. Non a caso, mi ha sempre accompagnato l'idea dell'ottava come sonda, chiave interpretativa. Marco Santagata, a cui l'opera è dedicata, mi considerava un poeta conoscitivo».

Il poeta mira più al racconto o alla liricità del verso?
«Beh, penso proprio di essere un lirico e non me ne vergogno. Nello Zibaldone, Leopardi scrive che la lirica è l'apice della poesia e la poesia l'apice del discorso umano. E il discorso umano - mi verrebbe da aggiungere - è l'apice della complessità. Ma credo che ogni ottava possegga anche una sua narratività, possa portare chi legge da un punto all'altro del tempo e dello spazio. C'è chi mi ha detto che nei miei versi si passa in un attimo dalla cantina all'altana, e viceversa. Qualcun altro, che l'ottavaècorta, maquando la leggi si apre e diventa lunga chilometri. Senza dimenticare la tensione poemafica che i critici hanno sempre percepito nelle varie raccolte».

Perché considera questo libro frutto di 30 annidi lavoro, un piccolo miracolo?
«È un miracolo il fatto che un pigro rinunciatario come me abbia continuato per una vita a vergare ottave. Altro miracolo, che alla fine, cioè al momento giusto, la raccolta complessiva sia stata pubblicata, e al livello più alto. Ma a pensarci bene mi è sempre successo così. Nel 2000 Giudici, che non conoscevo, per Garzanti. Qualche anno dopo, una giovanissima Marta Donzelli si presenta in Piazza Piccola, con Daria Menozzi e Olivo Barbieri, per propormi un libro e un film. E ora Agamben... non potevo chiedere miracolo migliore. Ma con la Dani, dell'Incontri Editrice, i libri più romantici».

Si ritiene che la sua poesia sia un evento unico della storia delle poesia italiana del nostro tempo"...
«Posso solo ringraziare chi l'ha scritto. Sono sempre stato considerato `un originale' e in questo libro una certa originalità credo ci sia. In tempi non sospetti, il mio amico Bruno Ascari detto Scaio mi aveva avvertito: Sono contento che tu sia saltato fuori, perché, non credere mica, ma la gente pensava che fossi un matti».