Recensioni / Il metodo di Descartes

Il testo si propone come oggetto d’indagine il metodo di Descartes e in particolare si concentra sull’ambizioso progetto cartesiano di delineare un metodo universale per la conoscenza umana; lo studio documenta quest’interesse nel suo sviluppo storico e nel rapporto con le concezioni dei filosofi, che Descartes ebbe modo di conoscere. Il volume risulta accattivante anche per l’indagine sull’applicazione del metodo del filosofo francese nei suoi studi di metafisica, fisica e matematica. Tali considerazioni peraltro non presuppongono specifiche conoscenze preliminari di tali discipline, mentre appare difficile la lettura e l’apprezzamento di molti contenuti da parte di chi non fosse almeno superficialmente già addentro alle questioni filosofiche trattate.

Centro del libro, che raccoglie e rielabora gli studi per la tesi di dottorato dell’autore alla luce anche del confronto maturato in occasione di workshop, conferenze e più in generale di dibattiti e scambi di opinione, è quindi l’obiettivo cartesiano di individuare una metodologia per la conoscenza umana che sappia essere strumento efficace di indagine e ricerca, e, al contempo, riesca a fondare e giustificare la conoscenza stessa. A tal fine, riferimento principale sono le dimostrazioni di aritmetica e di geometria, discipline ritenute capaci di garantire quella caratteristica di certezza che per Descartes rappresenta il tratto ideale fondamentale della conoscenza. In questa prospettiva, si comprende come l’obiettivo cartesiano sia rappresentato da una conoscenza in grado di avere la medesima certezza delle dimostrazioni matematiche. Viene così sviluppata un’analisi del metodo cartesiano e della sua applicazione alle ricerche fisiche e filosofiche, per evidenziare non solo il fallimento del progetto di un metodo universale per la conoscenza basato sulla certezza, ma anche i tentativi di riproporlo, ad ulteriore prova della centralità di questo interesse per Descartes.

Il testo si articola in cinque capitoli. Nel primo viene indagato il dibattito sul metodo del XVI secolo. Da subito vengono infatti esplicitate le tre principali accezioni che la parola metodo possiede in tale periodo: la prima d’ambito maggiormente didattico ha come significato l’arte di esporre le conoscenze; la seconda, prevalentemente scientifica, indica la metodologia utile alla scienza per mostrare dalle cause gli effetti e dagli effetti le cause; la terza, tipicamente medica, fa riferimento all’insieme delle tecniche per la diagnosi e la cura delle malattie. In questo panorama, si evidenziano le due fonti principali di Descartes: l’analisi degli antichi e l’algebra dei moderni. L’autore sviluppa uno studio articolato e ricco di riferimenti storico-filosofici di entrambe le tradizioni, mostrando in particolare le differenze e i rapporti tra la teoria della dimostrazione di Aristotele e l’analisi degli antichi geometri. In questo dibattito, Descartes si trova a riconoscere nelle dimostrazioni matematiche il modello della conoscenza fondata sulla certezza e da qui inizia il suo tentativo di costruire dimostrazioni in tutti i rami del sapere che aspirino ad essere conoscenza certa.

Il secondo capitolo, probabilmente il più denso di contenuti, si concentra sulle Regulae ad directionem ingenii, che raccolgono le riflessioni del filosofo francese negli anni ’20, mai pubblicate dal Descartes e di cui vengono narrate anche le traversie. In questi scritti si sviluppa la costruzione di un metodo universale capace sia di accrescere, sia di fondare la conoscenza umana. Il fatto stesso che nelle Regulae siano contenuti esempi tratti da varie scienze è la riprova dell’universalità cui aspira il metodo cartesiano. Il filosofo francese infatti mostra, da un lato, di accogliere i contributi epistemologici che gli derivano dalla sua attività di ricerca scientifica, dall’altro lato di voler elaborare una concezione metodologica generale applicabile ad ogni questione scientifica. L’autore inizia quindi la sua analisi dalla differenza tra il concepire, attività propria dell’intelletto, e l’immaginare, attività specifica della facoltà dell’immaginazione. Per Descartes, infatti, soltanto l’intelletto può giungere alla verità attraverso due funzioni centrali: l’intuizione e la deduzione; della prima non viene data una definizione in positivo ed è identificabile con la capacità di cogliere immediatamente la verità; la seconda invece è quel movimento del pensiero in grado di cogliere il legame tra i vari anelli di una catena di ragionamenti. L’immaginazione invece ha il compito di presentare all’intelletto gli oggetti sotto forma di figure ed anche quello di esprimere ipotesi; queste mansioni certamente importanti per la conoscenza rischiano però di trarre in inganno l’intelletto, qualora la facoltà di immaginare non fosse opportunamente controllata.

All’attività dell’intelletto si lega direttamente l’induzione o enumerazione, i cui compiti sono particolarmente articolati: ha la funzione di controllo poiché ripercorrendo un ragionamento è in grado di coglierne eventuali errori, quella di comprensione perché evidenzia i passaggi logici, ha valore euristico perché individua le soluzioni di eventuali ostacoli nel ragionamento, ed infine è principio di dimostrazione vero e proprio quando enumera i casi di un ragionamento. L’autore inoltre esamina le differenti concezioni dell’induzione da parte di Aristotele, Bacon e Descartes, per concludere affermando la sostanziale lontananza del filosofo francese dai suoi precursori.

L’analisi riprende quindi il duplice ruolo dell’immaginazione, che fornisce aiuto all’intelletto in quanto propone ad esso immagini e formula ipotesi; l’autore presenta, a tal proposito, un confronto con altre teorie sull’immaginazione, tra cui quella aristotelica, per giungere poi al centro stesso del metodo cartesiano: esso consiste principalmente nell’ordinare e nel disporre le proposizioni in modo da ridurre quelle oscure ad altre più semplici e chiare grazie all’attività dell’intelletto.

Nel terzo capitolo viene brillantemente illustrata la formazione della fisica cartesiana con particolare attenzione agli scritti su Le Monde, La Dioptrique e Le Météores, al fine proprio di considerare l’applicazione della metodologia cartesiana alla fisica. L’aspetto maggiormente significativo appare essere precisamente il ruolo svolto dalla facoltà dell’immaginazione, che permettendo di procedere per ipotesi e congetture, garantisce la possibilità di una ricerca sperimentale. Significativamente Descartes ritiene questo metodo legittimo, ma certamente inferiore a quello deduttivo elaborato nelle Regulae e riferito sostanzialmente alla facoltà dell’intuizione. Il capitolo si arricchisce di una illustrazione della spiegazione cartesiana della legge di rifrazione e delle critiche alle argomentazioni del filosofo francese da parte dei suoi contemporanei.

Nel capitolo quarto l’autore prende in esame le dimostrazioni contenute nella Géométrie, proprio a motivo dell’importanza attribuita da Descartes al procedere certo delle dimostrazioni dell’aritmetica e della geometria. Descartes affronta così la dimostrazione del cosiddetto problema di Pappo, e nelle sue argomentazioni vengono evidenziate le acquisizioni metodologiche espresse nelle Regulae. In particolare, emerge, anche valutando l’apporto fornito in tal senso dal Discours e dalle Meditationes, la centralità dell’operazione dell’analisi, a cui sono da ricondurre sia l’attività dell’ordinare, sia quella del ridurre.

Nel quinto capitolo vengono ripresi contenuti significativi presenti nei Principia e nelle Meditationes, al fine di ribadire e confermare l’ideale del metodo cartesiano espresso nelle Regulae. In realtà, viene mostrato come l’ideale di scienza di Descartes, derivato dalle matematiche pure, riassumibile nell’intento di concepire attraverso l’intuizione con chiarezza e distinzione, mostra i suoi limiti quando viene applicato al di fuori delle dimostrazioni matematiche. In particolare, la fisica e la metafisica non sembrano poter utilizzare ragionamenti che abbiamo la stessa certezza della conoscenza matematica. Elemento discriminante è proprio l’uso dell’immaginazione, che peraltro lo stesso Descartes sembra avere ben presente. Egli infatti nella Regola VIII confronta l’uso dell’immaginazione da parte di tre personaggi riconducibili ad un matematico, un fisico e un metafisico. Il primo si serve dell’immaginazione come ancella dell’intelletto, per comprendere gli oggetti sotto forma di figure; il secondo fa un uso importante dell’immaginazione, che gli permette di formulare ipotesi e ragionamenti per analogia; il terzo, invece, non si serve affatto dell’immaginazione. Descartes, comunque, non pubblicherà le Regulae con le sue riflessioni e conclusioni sul metodo, spinto senz’altro anche da motivi di cautela politica: la fisica in esse contenute faceva riferimento alla teoria copernicana, proprio qualche anno dopo la condanna di Galileo. Resta il dubbio che il filosofo francese avesse la percezione del fallimento del suo ideale di un metodo universale di scoperta e fondazione della conoscenza umana basato sulla certezza, ma che in fondo non lo volesse ammettere.
Lo studio si arricchisce di una ricca bibliografia e riesce a catturare il lettore che già abbia familiarità con tali tematiche filosofiche con la proposta di una tesi avvincente accuratamente illustrata, motivata e confrontata con la ricca storiografia relativa.