Recensioni / La prova dell'estraneo

Il saggio di Berman, considerato uno dei contributi più interessanti della discussione sulla storia e la teoria della traduzione, affronta il ruolo fondamentale da questa svolto, come esercizio filologico e come oggetto prediletto di riflessione, nella cultura tedesca della fine del Settecento. Seguendo un percorso che va da Herder a Hölderlin, Berman si sofferma sui momenti decisivi in cui l'incontro con il diverso diventa occasione di scoperta, di riconoscimento e di arricchimento della propria peculiarità nazionale. È la traduzione della Bibbia di Lutero, vale a dire il primo, decisivo atto di autoaffermazione della lingua letteraria tedesca, a inaugurare quel particolarissimo modo di porsi nei confronti delle grandi espressioni di culture diverse dalla propria che anima la riflessione poetologico-filosofica della Germania dell'epoca romantica. Simile al viaggio in terra straniera, passaggio determinante all'interno della Bildung - il processo evolutivo che ha come scopo la formazione della identità individuale compiuta -, la traduzione offre l'esperienza indispensabile dell'ignoto. Nella prospettiva del ritorno, che di quel viaggio resta comunque l'ultima meta, essa è in grado inoltre di indicare straordinarie possibilità di trasformazione reciproca, una trasformazione tesa però alla ricerca di quel fondo di verità che riesce a emergere più chiaramente se osservato dalla prospettiva della distanza. È la prospettiva dalla quale Hölderlin poteva affermare di aver voluto, con le sue traduzioni da Sofocle, "correggere gli errori" dell'originale, per restituirlo alla sua autenticità più profonda. E sono infatti proprio le traduzioni hölderliniane in cui - dopo Benjamin, Schadewaldt, Reinhardt, Steiner - anche Berman vede affermarsi per la prima volta il tentativo di affrontare l'originale con l'intenzione di comprenderne il carattere più autentico. La traduzione cessa così di essere semplice mediazione di ciò che è straniero, per mostrarsi, secondo il compito che Berman le assegna, come il luogo in cui la lingua allarga il suo confine riproponendosi continuamente al suo stato sorgivo.