Recensioni / Il paradosso antropologico

In questo denso saggio, Massimo De Carolis - docente di Filosofia teoretica presso l’Università di Salerno – affronta un tema che egli stesso definisce «eterogeneo» per il tipo di approccio che necessita: la condizione umana. L’autore propone al suo lettore l’ambiente teoretico in cui argomenterà il dilemma spinoso: «Nel bene o nel male, questo resta invece uno studio di antropologia filosofica, e nient’altro. Il suo obiettivo, essenziale, è provare a capire cosa possa realmente significare un’idea, come quella di Heidegger, per cui l’umanità dell’uomo consisterebbe nella sua capacità di dare forma a un mondo. In particolare: cosa possa significare oggi una simile costruzione dell’umano» (p. 19).
In questa breve e concisa descrizione si può capire la portata di questo scritto, del tentativo di De Carolis. Si può capire se avrà successo o se invece fallirà nelle sue intenzioni iniziali. Beninteso che una filosofia che voglia chiamarsi tale deve sempre portare in sé il germe del proprio fallimento. De Carolis è un filosofo e avvisa immediatamente il suo lettore che potrà ritrovarsi, dopo la comprensione del testo, al punto di dover «apprezzarne o respingerne in blocco la proposta teoretica» (p. 7).
Il fallimento di una filosofia non è certo paragonabile a quello delle scienze positive. Il fallimento di De Carolis, se mai un suo lettore dovesse esigerlo, si troverebbe nella condizione positiva di aver aperto, ri-aperto, una domanda che da sempre ha coinvolto i filosofi, dal Timeo al Tractatus di Wittgenstein: che cos’è l’uomo?
Il saggio è ben strutturato per quel che concerne il suo lato maieutico. Il lettore è messo nella condizione di comprendere fino in fondo l’edificio teoretico, libero di sviluppare tutte le domande che ogni filosofia offre. Spesso De Carolis torna sui suoi passi per completare l’argomentazione con le idee che nel corso dello scritto ha aggiunto all’indagine filosofica. Non si tratta di passi indietro, anzi: è il rispetto che si deve al lettore.
Il tema centrale del saggio è la paradossale presenza dell’uomo nel mondo. L’uomo coniuga in sé una parte animale e una parte che gli è propria, l’essere ‘aperto al mondo’. L’uomo pur essendo esposto, come ogni altro animale, all’infinita contingenza dei fatti del mondo, ha la capacità di proteggersi «ritagliandosi una sfera circoscritta di norme e valori simbolici, una specie di nicchia culturale, nettamente distinta dal resto del mondo e contrapposta alla moltiplicazione indefinità delle possibilità» (p. 8). De Carolis, però, non si occupa semplicemente di illustrare il punto storico di questo aspetto della filosofia, l’antropologia, ma utilizza la paradossalità umana per analizzare i meccanismi che si sviluppano nella dialettica tra le due parti che formano l’essere uomano. Dal sottotitolo, Nicchie, micromondi e dissociazione psichica, si può intendere che la ricerca di De Carolis non si adagia in un alveo rassicurante: se è vero che ‘nicchie’ e ‘micromondi’ sono due concetti convenzionali, l’uso che l’autore fa del concetto di ‘dissociazione psichica’ è quanto mai interessante. Una breve introduzione storica del concetto permette all’autore di avviare un discorso che arriva a considerare una patologia, così la dissociazione psichica è classificata in ambito psichiatrico, come il grimaldello che può scardinare l’uomo dal suo attaccamento nocivo - esistenzialmente, socialmente e politicamente parlando - ai propri micromondi e alle proprie nicchie rassicuranti, questi ambienti artificiali lo stanno ‘denaturando’: «Intanto, si è constatato che la dissociazione primaria, presa in se stessa, non è affatto una disfunzione patologica, ma un meccanismo psichico essenziale, che assolve una funzione costruttiva nell’evoluzione della mente in generale. In prima istanza, a innescare questo meccanismo è la necessità di proteggersi da un flusso indifferenziato di stimoli in cui niente ha un significato biologico prescritto una volta per tutte, ma tutto è in grado di acquisirne uno, se il caso lo porta a convogliare su di sé una carica pulsionale duttile per natura, e quindi tendenzialmente imprevedibile. […] Nelle fasi mature dell’evoluzione psichica, l’acquisizione del linguaggio permetterà di stabilizzare, almeno in linea di principio, la distinzione tra la realtà esterna e le rappresentazioni interne, aprendo la strada a forme più strutturate di difesa dell’identità dell’io» (p. 85).
Il lato patogeno della dissociazione psichica sta, per De Carolis, non nella sua attuazione, la scissione dell’io, ma nel suo fallimento (p. 95). Quando un io immaturo non riesce più a dissociarsi non riesce più a distinguere tra realtà e rappresentazioni interne, è la società intera ad entrare in crisi. Nell’interessante terzo capitolo, La zona grigia tra i fatti e le finzioni, De Carolis affronta la dissociazione psichica non più come semplice patologia psichiatrica ma come complesso sistema di organizzazione della mente del singolo individuo e delle ‘meccaniche’ sociali. La dissociazione ha quindi un esito ‘felice’ o ‘infelice’ e il gioco è il luogo in cui si può vivere l’esperienza decisiva che può condurre a uno di questi risultati: «Nell’esperienza del gioco, però, la perimetrazione di una nicchia non è funzionale al diniego della realtà, ma il suo padroneggiamento. Perché un gioco funzioni, perchè riesca a convogliare le spinte pulsionali e avviarle alla sublimazione, è necessario che a «entrare in gioco» siano gli aspetti più profondi, perturbanti e virtualmente minacciosi della situazione reale. Lo spazio perimetrato del gioco, perciò, non è un rinnegamento della realtà ma una sua proiezione nel quadro di regole convenzionali che limitano la contingenza e favoriscono la selezione delle risposte più efficaci» (p. 93). Percezione dei fatti reali o delle rappresentazioni che un io dissociato può avere non sono, ovviamente, il solo problema analizzato da De Carolis. Un io che sappia distinguere tra realtà e finzioni, tra mondo e mente, ha delle implicazioni che toccano ogni aspetto della sua vita. Le parti che formano un io dissociato, ‘felice’ o ‘infelice’ che sia, hanno un facile posizionamento analogico nell’ambito della teoria politica. Basta citare il corpo sociale del Leviatano di Hobbes per avere a che fare con la democratica partecipazione di più personalità, reali. Questa analogia è il nucleo centrale del saggio di De Carolis. Gli ultimi due densi capitoli del saggio trattano della problematicità che un singolo individuo, potenzialmente dissociato (nell’accezione di De Carolis), affronta nella nostra società. Anche in questo frangente l’autore propone una linea di studio originale: ontologia del presente, società e politica sono i concetti analizzati. L’intera società moderna è paragonata all’io dissociato, con la sua particolare visione della realtà, portando le dinamiche ‘dissociative’ nell’ambiente politico.

Qui il gioco non è più solo una funzione che serve alla maturazione dell’io, ad una sua evoluzione. Qui sono in gioco le nostre vite. Il nostro partecipare alla vita sociale, perché l’uomo è un animale sociale.

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