Estratto dal libro Dalla via Emilia a San Pietroburgo.
Ecco, è pomeriggio, e siedo in un bar fumoso di San Pietroburgo. In questo pomeriggio di acquazzoni e venti che sfregiano siedo a un tavolino dello SPB bar in ulica Marata. La catena di bar per studenti dove alle tre del pomeriggio c’è gente che beve canestri di birra da cinque litri e in sottofondo suonano i Jane’s Addiction.
Siedo nella sala per fumatori persino se non fumo. Solamente da qui è possibile ammirare il passeggio, l’andirivieni per la via. Una popolazione di occhi che non si distinguono. Individui, persone, bande, piccoli gruppi di empi, abominevoli. Esemplari mostruosi della grande e inutile razza umana. Un tempo mi spaventavo nel camminargli attraverso. Un tempo quelle facce mi piombavano addosso come fari di un camion in contromano.
Adesso io le guardo in silenzio. Adesso non me ne frega granché della vita esteriore. Improvvisamente, mi sono reso conto di non aver nulla da capire. Adesso io lascio che ogni cosa segua il suo corso. Adesso io sono nel mondo, eppure non ne faccio parte. Come una statua che non spiccica parola.
“Siate nel mondo, non del mondo”, così parlò Gesù agli straccioni, agli sbrindellati, ai minchioni, agli idioti, ai figli di buona donna.
Mi pare piuttosto di osservare un acquario e coloro che vi sfrecciano dentro non lo sanno di essere prigionieri della mia personalissima prospettiva. S’illudono di poter girare liberamente per di qua e per di là. Di poter entrare in quel tal negozio. Ad agghindarsi. Persino di salire su quel tal altro bus. Il che non ha alcun senso. Questo mondo ha bisogno di tutto, tranne che di persone!
Intanto, orecchio le chiacchiere di chi mi è seduto intorno. Metto in ordine le mie povere idee! Annoto in un angolo della tovaglietta i miei pensieri un attimo prima che spariscano come nuvole spinte via dai venti del Baltico. Che sono un gran ventaglio di emozioni. Concordanze, divergenze. A tratti entusiasmo. Che mi gira per la testa come un fuoco elettrico! A volte malinconie, profondissime, dell’animo. Che non è rassegnazione. Piuttosto uno sguardo svuotato dalle aspettative.
Trascorro il mio tempo intrecciando sguardi con le ragazze che siedono in questa penombra vuota di risposte davanti a una tazza di tè.
“Tiziano, smettila di cercare e troverai. Tiziano, smettila di darti delle risposte e presto non ci saranno più domande”, così mi ripeto io.
“Tiziano, nessuna risposta potrà mai aiutarti”.
Nel mentre, mando giù un caffè diluito nell’acqua contaminata dai metalli pesanti della Neva. Perché i bollitori delle macchinette dell’espresso prelevano direttamente dalle tubature dell’acqua cittadina. L’acqua che finisce nella mia tazzina è quella putrida dell’acquedotto. Quella che a berla pura si resta piegati in due per una settimana. La mia seggiola è accostata alla vetrata che s’affaccia sul marciapiede della ulica Marata con i suoi capannelli di spacciatrici di visti Schengen, assicurazioni, registrazioni. Ogni mattina tentano di placcarmi quando infilo di buon passo le porte della stazione della metropolitana Majakovskaja. Vorrebbero vendermi un visto finlandese valido per viaggiare in Europa. Vorrebbero venderlo a me che dall’Europa sto scappando!
“Me lo dia lei un motivo valido per tornarci in Europa!” Così io strepito in faccia alla vecchia venditrice.
“Non ve ne sono a Bologna di luoghi simili”, la zittisco io. Lei scuote la testa, non può capire. A San Pietroburgo le caffetterie, le kafeška, sono quei luoghi della vita che in Italia non è possibile trovare. Luoghi per pensare. Io di pensare non la smetto mai! Il mio cervello lavora frenetico. Luoghi per leggere, incontrarsi, sfuggirsi. I bar di San Pietroburgo sono defatiganti. Spazi liberi dagli inganni della mente.
Nei bar di via Broccaindosso a Bologna siedono uomini disperati. Mezze calze. Naufragati nell’alcol. Che passano tutto il giorno in tuta da meccanico o davanti alle gazzette sportive e la sera tengono gli occhi incollati alle slot machine e agli schermi dei telefoni cellulari. La smania di diventare qualcuno in Italia è dappertutto! Come nelle ammucchiate tristi degli aperitivi bolognesi.
Ascoltatemi, la gentaglia s’affolla perché è stanca di sé stessa. Ne ha avuto abbastanza. Cerca la confusione. La stretta di mano consolatoria. Il gregge! Perché allontanarsi da sé è la gioia suprema. Io invece voglio ficcarmi dentro me stesso!
Io non conosco niente di più atroce! Io li ho sempre odiati, disprezzati profondamente, gli aperitivi bolognesi, quelli nei bar alla moda in piazza Santo Stefano e sotto al portico di legno in strada Maggiore. Quelli dei quarantenni venditori di polizze assicurative, agenti immobiliari, ingegneri, studenti fuorisede arrivati a Bologna nella speranza di diventare qualcuno.
Escrescenze della telefonia mobile. Eccoli gli esseri umani del nuovo millennio! Scapoli, smidollati, pigmei, influencer, blogger, coach. Gente che, con il loro idiotismo, influenzano, e male, gli altri! Gente che ha dei progetti, delle intenzioni persino, per il futuro lì a venire! Gente che vuole fare i soldi, farne tanti, molti, il più̀ possibile! “La nostra indubbia posizione sociale”, si inorgogliscono loro! Gente senza il benché minimo cervello! Gente che non vale niente! Gente che non la smette di fotografarsi! Gente che non ha mai letto una sola pagina di Hemingway, Céline, John Fante, Kafka, Camus! Che decadenza! Che terribile porcheria! Si ubriacano per illudersi di fare la vita che sognavano a vent’anni, i vigliacchi, gli schifosi!
Spazzarli via. Con una ventata di napalm. Tipo Apocalypse Now. Col sergente maggiore ricurvo ad annusarne l’effluvio di primo mattino. Trattasi del cristo del nuovo millennio! Nuovamente reincarnatosi! Per rimediare, per darci un taglio netto a questa evoluzione della specie lurida!
Io getto la spugna! Non ne posso più. Di questa sterile razza imbecille!
Qui l’impazzimento collettivo, la follia sono mantenute fuori dalla porta dello SPB bar sorvegliata dai due buttafuori tatuati e avanzi di galera. Quegli stessi che mi si avvicinano chiedendomi dove nasconda la beretta, la pistola.
Questi bar di Pietroburgo che non chiudono mai!
“Aperto ogni giorno da quattro anni”: è questo lo slogan del Dača. Così come non chiudono mai i produkty, i fiorai, le caffetterie, le panetterie, le stolovye, i cinema, i dentisti, i notai. Sono le ore 4 della notte e, nel mentre, torno a piedi verso casa passo davanti al numero 9 della ulica Marata dove c’è la casa di Šostakovič. A quell’ora, i supermercati tengono l’uscio spalancato come alle ore quattro del pomeriggio. In uno di questi, sono due le commesse sotto i neon sparati del bancone della carne a maneggiare tagli di manzo e agnelli squartati. In un altro, un minuscolo produkty sotterraneo, il venditore dorme sotto agli scaffali stipati di scatolami e cianfrusaglie varie. Ripiegato su di una seggiola, la faccia tra le mani. Da quella postura traspare una stanchezza disperata. La stanchezza di una vita non vissuta negli agi. Lui impiega cinque minuti buoni prima di accorgersi di me, io che gli sto ritto di fronte in silenzio. Mi guarda come se stessi per rapinarlo.
Gli dico “zdravstvujte”, “salve” e la mia voce deve suonargli come ultraterrena.
Quando li riapre al completo, quei suoi occhi centro asiatici, io sono già fuori in strada.