Recensioni / Evasioni e cliché, i poeti "anziani" di Luca Lenzini

Nella storia dell'arte le opere tarde sono catastrofi. Così ammonisce Adorno pensando in particolare al Beethoven più sconvolgente e sperimentale, quello degli ultimi Quartetti. Ma il caso del compositore tedesco è solo esemplare, non unico, né tantomeno raro. Si può parlare, infatti, di stile tardo - ed è una posizione estetica e insieme esistenziale - pensando a moltissimi autori: per esempio a Michelangelo o a Tiziano; sicuramente al Bach dell'Arte della fuga, all'ultimo Goya, alle poesie tarde di William Butler Yeats. Ma l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Lo stile tardo accomuna risultati estetici anche molto diversi perchè descrive una situazione estrema e banale: nel divenire anziani, la percezione precisa, anzitutto corporea, del proprio essere mortali. Potenziare al massimo questa consapevolezza può atterrire; o invece liberare, come nel nostro caso, nuove energie espressive. Di questa pista di ricerca adorniana, il bel libro che Luca Lenzini ha da poco licenziato per le edizioni Quodlibet (Stile tardo Poeti del Novecento italiano, pp. 260, € 20,00) è un severo ed elegante approfondimento. Lenzini è uno dei massimi studiosi italiani di Franco Fortini, di cui per altro è stato allievo e a cui dedica, in chiusura del libro, un lungo capitolo simpatetico. Tuttavia, se nel suo sguardo diagnostico è ben riconoscibile la lezione del maestro, ma anche quella del miglior Pasolini critico, il suo stile asciutto e piano si differenzia con nettezza dalle oblique mosse fortiniane: vira piuttosto verso una precisione e un'eleganza quasi anglosassone, forse più vicina alla prosa critica di un altro autore caro a Lenzini: Vittorio Sereni. Il volume, dopo una densa introduzione filosofica, analizza lo stile tardo di alcuni fra i massimi poeti italiani del Novecento: tra gli altri, Ungaretti, Saba, Montale, Moretti, Betocchi, Caproni, Fortini. C'è chi, per esempio come Marino Moretti, torna a scrivere poesie ormai anziano, dopo un intervallo di oltre cinquant'anni. E proprio mentre Mondadori sta per pubblicarne l'opera omnia. Nel suo Diario senza le date (1966, poi 1974), a ottant'anni suonati, ripete in forma epigrammatica: «sii a te stesso infedele», quasi autosabotando la propria immagine di mite poeta crepuscolare. L'insoddisfazione verso la canonizzazione è infatti una delle mosse tipiche dello stile tardo. Il suo carattere erratico e
anarchico, «allergico ad ogni irrigidimento» rivendica come proprio diritto « l'evasione dal clichè, l'autoironia ed il gioco» (p. 91): e se si pensa all'ultimo Montale, che torna a scrivere poesie da anziano, dopo oltre vent'anni di silenzio poetico e di corrispettiva consacrazione sociale, è fuori dubbio che da Satura in poi la sua poesia cada, per l'energia disgregante e iconoclasta che sprigiona, precisamente sotto i poteri dello stile tardo. Certo, la sua curvatura può essere di tutt'altro tipo: per esempio apocalittica, come in Composita Salvantur di Fortini o nell'ultimo Ungaretti, da Terra promessa In poi. Oppure, più vicina a una strategia di autodissolvimento: come per esempio in Saba, che nella sua ultima poesia arriverà a scrivere: «mai appartenni a qualcosa o a qualcuno».