Recensioni / Quando Govoni con versi elettrici, faceva il futurista

Aveva inaugurato il Novecento con un esordio: Le Fiale. Era il 1903, prendeva forma anche nei titoli successivi, e non solo per lui, quella particolare sensibilità definita crepuscolare. Nato nel Ferrarese (Tàmara 1884) e morto al Lido dei Pini (Anzio 1965), l'autodidatta Corrado Govoni, fecondo in versi e in prosa, pubblicò - anno 1911 - Poesie elettriche nelle Edizioni Futuriste di Marinetti, versione originaria ristampata presso Quodlibet (cura e introduzione  di Giuseppe Lasala, pp. 175, euro 14) in anticipo sul centenario del Manifesto Futurista che si va ora celebrando.
Con accenti diversi, senza tacere il pathos dilagante biasimato dal partecipe curatore e snervanti ripetizioni, automatismi banali, formule orecchiate, è stato riconosciuto a Govoni un ruolo d'avanguardia: verso libero, rottura della metrica tradizionale, insolite analogie, neologismi fantasiosi. Sono caratteri evidenti in Poesie elettriche, e più o meno in tutta l'opera poetica attraversata da campiture di colori, realtà coagulate in elenchi, amore per la natura. Ma quando Govoni cavalca il govonismo e l'organetto s'incanta, il lettore rigetta l'accumulo catalogatorio, la rimeria d'occasione, l'eccesso di fiori (causa di stordimento allergico). E ritorna all'agile aquilone dei suoi versi migliori.