Recensioni / Artaud

È notevole il numero di quanti considerano il teatro delle crudeltà di Antonin Artaud l’espressione da palcoscenico più vicina alla vita. Questa considerazione viene data in un certo senso come acquisita da Wilson Saba, giovane e acuto studioso dell’opera artaudiana, di cui si è proposto di approfondire la conoscenza di uno dei versanti meno noti. Saba, che più di un lettore ricorderà come l’autore di un’opera prima (Sole baleno) selezionata tra i romanzi finalisti del premio Strega 2007, dichiara e mantiene fermo per tutte le pagine del suo saggio il proposito di condurre un “viaggio nell’esoterismo artaudiano” (p. 97). Le questioni che questo itinerario apre e solleva hanno una chiara matrice filosofica, entrando senza remore nel tema artaudiano per eccellenza: quello del rapporto tra vita e teatro. Tema che chiama in causa non la relazione tra il mondo e la sua rappresentazione, ma tra l’uomo e l’attore, e che esige una risoluzione estrema e audace. In Théâtre et la peste (1934), lo stesso Artaud scrisse: «Il problema che ora si pone è di sapere se nel nostro mondo che decade, che si avvia senza accorgersene al suicidio, sarà possibile trovare un gruppo di uomini capaci di imporre questo concetto superiore del teatro, che restituirà a tutti noi l’equivalente magico e naturale dei dogmi in cui abbiamo cessato di credere» (p. 39).

Attraverso il teatro artaudiano si entra in una concezione del mondo ricca di valenze filosofiche. Ne sono in un certo senso garanzia le tanti fonti di natura filosofica che hanno alimentato l’opera di Antonin Artaud e che l’autore del saggio attentamente sonda e richiama. Il proposito dichiarato è quello di ricostruire la trama e le diramazioni di un progetto, che dire solo culturale non si può, del quale Artaud fu teorico e interprete principale. Annota, infatti, Wilson Saba come in tutta la produzione artaudiana ci sia «un disegno nascosto (che potremmo definire “nervoso”, fisiologico), teso a raccogliere e a riaccorpare tutto: esso è presente in quello scontro tra la Siria e la Roma di Eliogabalo che si ripete nel contrasto tra l’Oriente e l’Occidente contemporanei; ma non solo» (pp. 98-99). Basterebbe, in effetti, riprendere in mano (cosa che Saba necessariamente e diligentemente fa) Eliogabalo o l’anarchico incoronato per cogliere l’attualità dell’opera di Artaud, che sviluppa con originalità il tema del conflitto tra la civiltà occidentale e il mondo orientale, per poi chiedersi quali altri mondi non pienamente compatibili con il nostro debbano rientrare sotto la categoria di “mondo orientale”, la quale, come si sa, aveva per Hegel un valore funzionale al riconoscimento del primato dell’occidentalità.

Letto ed esaminato da una grande schiera di filosofi (tra i tanti, Blanchot, Derrida, Deleuze e Foucault, Todorov), Artaud è la cifra di un percorso speculativo che dall’astrazione della teoria si è trasferito nella concretezza di un piano esistenziale realmente vissuto. L’opera d’arte è per Artaud (e in ciò non vi si può leggere alcuna concessione ad una visione dell’esistenza puramente estetizzante) la stessa vita. E la vita si fa spazio speculativo, vissuto sperimentabile. «Tutta la sua opera è un’opera filosofica sul pensiero, sul senso del pensiero; e la sua è un’analisi combattuta perché, non potendo fare a meno di pensare (come essere vivente), si accorge che il pensiero è un cancro che chiude le cose e le costringe in passaggi morti (i linguaggi); che il pensiero separa (dal corpo) e sabota l’azione» (p. 99).

Giustamente Saba mette in guardia il lettore dalle insidie che la lettura e l’interpretazione dell’opera artaudiana implicano. E questo è il versante che l’autore del saggio ha scelto di privilegiare, fornendo così un contributo importante alla scoperta di un Artaud poco conosciuto, spesso ridotto a formule che sanno di clichè manualistico. «L’esoterismo artaudiano – avverte, infatti, il nostro autore – è paradossalmente un “essoterismo dell’esoterismo”, una ricerca di diffusione del sacro e dell’energia che trova nel mezzo teatrale – un mezzo di contatto “particolare”, che coinvolge globalmente (carnalmente, intellettualmente e spiritualmente) lo spettatore – il tramite ideale e concreto per raggiungere l’umanità tutta con l’efficacia simbolica» (p. 38). È il proposito guida dei grandi neofiti che hanno un piano di riscatto e s’ingegnano per farlo avanzare, cercando con cura di preservarne la purezza. È, se si vuole, la costante che attraversa e connota tutte le teorie puramente rivoluzionarie.