Recensioni / L'uomo che aspetta di vivere

Storia di uno studente che la mattina dell’esame, invece di alzarsi, lascia suonare la sveglia e richiude gli occhi. Segue il racconto della sua vita ordinaria, in cui giorno dopo giorno si educa all'indifferenza.

Un uomo che dorme di Georges Perec è un romanzo «disintossicante», che va probabilmente collocato in libreria accanto a Lo straniero di Camus e a Bartleby lo scrivano di Melville più che ai libri dell'Oulipo («Ouvroir de littérature potentielle») di cui lo scrittore francese (1936-1982) era, con Calvino e Queneau, uno dei massimi esponenti. Il protagonista del racconto - scritto in seconda persona come ad esempio La modificazione di Michel Butor - è uno studente che un bel giorno, ben sapendo di dover sostenere un esame all'università, lascia suonare la sveglia e continua a dormire (qui sta la disintossicazione: dal fare, dal dover decidere).
NON CI SARÁ LA LAUREA
Perché la decisione è presa: «Non prenderai mai la laurea, non comincerai mai la specializzazione. Non continuerai gli studi». Il mondo, che è assurdo, gli è indifferente. Come a Mersault, come a Bartleby. O meglio, «per dirla senza tanti giri di parole, tu non sai vivere e mai ne sarai capace».
L'uomo che dorme dormirà, farà una moltitudine di sogni, osserverà i suoi sei calzini, «sfatti pescecani», a mollo in una bacinella rosa, non leggerà più, non si muoverà quasi. Poi, così come i protagonisti dei racconti di Robert Walser vanno a zonzo per le montagne svizzere, lo studente di Perec deciderà di uscire e vagare senza meta per Parigi. Il suo obiettivo è radicale: «Non voler più niente, aspettare finché non ci sia più nulla da aspettare». Mentre cammina, ma anche mentre osserva da sdraiato le crepe nel soffitto o i disegni che si formano all'interno delle palpebre quando socchiude gli occhi, lo studente impara la solitudine, la pazienza, il silenzio, la trasparenza, l'inesistenza: ecco perché Un uomo che dorme, ripubblicato da Quodlibet Compagnia Extra con una bella postfazione di Gianni Celati, può essere letto anche come un romanzo di formazione, o meglio di rinnovata formazione. Il protagonista, che decide di trasferirsi fuori dalla routine, dall'abitudine, dall'assuefazione, impara a vedere e, come disse lo stesso Perec, «mette alla prova la sua cecità». Sa che la vita, in fin dei conti, non è altro che un far trascorrere il tempo: «La sola cosa che a te importa è che il tempo scorra e che nulla possa colpirti». La lettura del giornale è il quotidiano misurare come tutto (dal crollo della Borsa agli uragani alle nascite) gli sia indifferente. Sebbene respinga espressamente l'idea di ribellione, la sua è una ribellione contro il dover essere, contro l'imperativo dell'attività. L'uomo che dorme è un Robinson cittadino, che gode dello straniamento: «La tua stanza è la più bella delle isole deserte e Parigi è un deserto che nessuno ha mai attraversato». Per giorni e giorni si sente «l'anonimo padrone del mondo», su cui la storia non ha più presa. E libero, non deve rendere conto a nessuno dei suoi gesti, compiuti e mancati.
MENZOGNE
Quando tutto sembra però indicare il suo progressivo avvicinamento a uno stato di follia, l'uomo si «sveglia». Ma - qui sta la grandezza di Perec - non è impazzito, non è morto, non è diventato più saggio. Erano tutte menzogne, non c'era nessun labirinto, «il prigioniero era un finto prigioniero, la porta era aperta». Alla fine lo studente, che non ha dato il suo esame, non ha imparato niente, tranne che la solitudine non insegna niente, che l'indifferenza non insegna niente: «Eri solo, tutto qui».