Recensioni / Carità pelosa. Il gesto verso l'altro e le ipocrisie della Chiesa. Una riflessione di Ivan Illich

La Chiesa cattolica, e anzi la modernità stessa (impregnata di cristianesimo) ha tradito il messaggio evangelico perché ha preteso di istituzionalizzarlo, di tradurlo in una legge, in una prescrizione, in un obbligo morale. Non ho mai letto un attacco così radicale alla Chiesa come in questo libro che raccoglie le conversazioni di Ivan Illich alla tv canadese nel 1999, tre anni prima di morire (Pervertimento del cristianesimo, Quodlibet, postfazione di Fabio Milana). Illich, figura luminosa di educatore e “santo laico”, ha indossato la tonaca fino al ’68, poi ha abbandonato il sacerdozio dopo innumerevoli censure e minacce di scomunica. Da allora, attraverso pamphlet, conferenze, azioni di disobbedienza civile, è stato il paladino dei senza potere, di tutti i poveri di spirito intimiditi da esperti e burocrati. Ma in cosa consiste secondo lui questa corruzione della Chiesa primitiva, che poi ha contaminato le strutture dello Stato moderno? Nel tentativo di trasformare - magari con le migliori intenzioni - la carità cristiana, l’amore verso il prossimo da gesto gratuito, imprevedibile, assolutamente libero, in qualcosa di garantito, in servizi pianificati istituzionalmente. Se infatti pensiamo di «regolare la carità, garantire la speranza e assicurare la salvezza» faremo sparire ogni spontaneità dell’esperienza, e poi le singole persone, uniche, irripetibili, con il loro corpo, con la loro gioia e la loro sofferenza. Il buon samaritano decide - liberamente e spontaneamente - di riconoscere il giudeo percosso e ferito sul ciglio della strada, e di prendersene cura (al contrario dei sacerdoti del tempio). Cosa che non avrebbe dovuto fare perché quello apparteneva a un’altra  cultura, a un’altra etnia, a un’altra lingua. La morale nel mondo antico infatti si applicava solo entro i confini di un determinato popolo.
L’etica è fondata dunque sull’amicizia, sulla scelta libera di prendermi cura dell’altro, di riconoscere tra me e lui una reciprocità, una nuova “proporzionalità”. Se dalla parabola evangelica si elimina questa esperienza fisica, corporea, dell’incontro, «avrai una bella fantasia liberal, che è qualcosa di orrendo». Personalmente non seguo Illich in tutte le sue formulazioni estremiste. Non so se davvero l’idea cristiana della resurrezione, della incarnazione ha generato un nuovo rispetto per il corpo. E poi Illich parla in nome di una sostanziale unità del cosmo, del kosmos, di una giusta proporzionalità e corrispondenza fra tutte le cose, che appartiene alle grandi tradizioni religiose e metafisiche. Unità che si è frantumata nella modernità, come tra l’altro mostra una celebre pagina di Shakespeare nel Troilo e Cressida (1602) in cui Ulisse  descrive  il venir meno di ogni gerarchia nell’universo, l’irruzione del caos («tutto si risolve nel potere, il potere in egoismo…»). Eppure credo che l’idea di fondo sia giusta. Dove si vuole “garantire” qualcosa la si svuota, l’amore è dono gratuito di sé e nessuno può assicurarlo o “gestirlo”, né la Chiesa né lo Stato (qui c’è una originale critica agli eccessi del welfare, fatta però non in nome del neoliberismo). Soltanto se mi volgo verso l’altro in modo spontaneo sarò anche disponibile a «farmene sorprendere».