Recensioni / Il paradosso antropologico

[…] Il punto di partenza della riflessione è la constatazione che la condizione umana è biologicamente scandita dall’oscillazione tra l’istanza di apertura, che spinge gli uomini a esplorare ogni possibile dimensione mondana, in quanto privi di un ambiente prestabilito e gestibile tramite gli istinti, e l’istanza di protezione, che tenta di far fronte alla complessità e alla contingenza del reale istituendo dei reticoli di simboli, ovvero delle nicchie culturali, veri e propri rassicuranti ambienti artificiali a metà strada tra realtà e rappresentazione, dai quali escludere tutto quanto risulti unheimlich. Se pure tale impostazione è debitrice nei confronti delle riflessioni di Uexküll, Gehlen e Plessner, De Carolis sottolinea però come i nuovi indirizzi di ricerca delle tecnoscienze umane rendano inaccettabile lo statuto di eccezionalità e indipendenza riservato all’uomo rispetto alla natura in generale nelle riflessioni antropologiche classiche.
Tale condizione, costituendo l’essenza stessa della natura umana, è destinata a perpetuarsi a dispetto degli sforzi di scienza e filosofia, che l’autore considera come tentativi di far fronte al paradosso. Il vero problema, e anche il fine cui tende il libro, è difatti tentare di assumerlo come presupposto di ogni discorso comunitario e politico, e di trovare strategie adatte a neutralizzarne il potenziale distruttivo.
De Carolis affianca a questa un’altra linea di ricerca sulla diffusione sempre crescente nelle società odierne dei disturbi dissociativi, ovvero dell’«attitudine a isolare e separare l’uno dall’altro i momenti virtualmente conflittuali dell’esperienza psichica» (p. 13), respingendoli non nell’inconscio, bensì in un comparto della vita cosciente separato dall’esperienza. Per l’autore i disturbi dissociativi sono legati al paradosso antropologico e sono il segnale di una mutazione in corso nelle forme di organizzazione della vita psichica che coinvolge anche istituzioni e vita collettiva, tanto che è possibile constatare come «i reticoli sociali postmoderni si aggancino di preferenza ai meccanismi dissociativi» (p. 87). […] Sebbene il quadro delineato nel libro risulti tutt’altro che ottimistico, le conclusioni, sulla scorta di Dewey e Walser, lasciano trasparire «nuove possibilità di resistenza e di creativa ridefinizione della vita» (p. 179). Esiste difatti la possibilità che le tecnoscienze umane, facendo emergere la dimensione antropologica primaria, cioè quella del paradosso, possano dischiudere una nuova sfera pubblica caratterizzata dal pluralismo e non più dalla ricerca dell’omogeneità che ha caratterizzato lo Stato-nazione moderno. Si tratterebbe di una vera e propria risposta alternativa al paradosso antropologico, in grado cioè di introiettarlo all’interno del piano politico della vita umana in entrambi i suoi due lati, l’istanza di chiusura nella propria identità d’origine e quella di apertura a una comunità nuova, il cui motore siano «l’indistinzione, la contingenza e la generica potenzialità» (p. 171).
Ma il tema sotteso a tutta la riflessione di De Carolis è in realtà una critica filosofica all’eredità della modernità, i cui tratti essenziali vengono individuati nella «repressione delle pulsioni come strumento necessario per il buongoverno» e nel «primato della legge come espressione formale della razionalità» (p. 97). Di fronte a questa constatazione, il lettore accorto vede le «maglie rotte» (p. 8), i vuoti che l’autore stesso ravvisava nella sua rete argomentativa, e che sono per lo più riferibili agli aspetti politici del ragionamento. […] Ma De Carolis convince quando afferma che è stata «la mancata o insufficiente trasposizione del paradosso antropologico sul terreno politico» (p. 167), che resta dominato dalle visioni conservatrici della tarda modernità, ad aver ostacolato un’adeguata penetrazione di queste teorie. E convince tanto più quando, coerentemente, tiene fermo quanto si era imposto fin dall’inizio, cioè di «non abbandonare mai il terreno antropologico primario» (p. 19) per la politica, e quindi di lavorare sulla profondità dell’analisi piuttosto che sulla sua estensione, di lasciare aperto uno spazio di interrogazione sulle possibilità che ci si stanno dischiudendo, e assieme ricordare il paradosso essenziale che sempre l’uomo si trova ad affrontare nei momenti decisivi della sua storia.