Recensioni / Un Dio distillato attraverso la filosofia

In una lettera del 1928 Sigmund Freud ringrazia Ludwig Binswanger di avergli inviato il suo saggio appena pubblicato, proposto come un'integrazione dell'Interpretazione dei sogni: «Ho ricevuto il Suo libretto sul sogno (...) Vi ho ritrovate tutte le Sue qualità, quelle rispettabili e quelle che mi piacciono meno. La Sua precisione, la Sua tendenza a dare ragione a tutti quanti, la Sua freddezza, infine la Sua esattezza di fronte all'oggetto reale (...) A quanto pare non è nella mia natura essere un uomo di studio e posso ammirare senza invidia la Sua applicazione al lavoro».
Più che per la rassegna storica, il “libretto” di Binswanger Il sogno. Mutamenti nella concezione e interpretazione dai Greci al presente, pubblicato da Quodlibet nella bella edizione a cura di Elisabetta Basso, è interessante per lo scorcio sul clima culturale che, dopo il disastro della guerra mondiale, precede l'avvento del nazismo. Un decennio che Freud aveva aperto nel 1920 con Al di là del principio del piacere, codificando l'istinto di morte come sadismo: fallimento di una ricerca sulla realtà umana che giungeva a compimento nel 1925 con La negazione, in cui qualsiasi possibilità che potesse esistere un rifiuto interno alla violenza era esclusa.
Dopo un iniziale interesse per la psicoanalisi, Binswanger, che dal 1910 dirigeva la Casa di cura Bellevue di Kreuzlingen, ne aveva preso le distanze, preferendo l'approccio fenomenologico di Husserl, poiché esso gli sembrava offrire, mediante l'intuizione dell'essenza, la possibilità di «cogliere l'oggetto in modo più originario e totale». Della Traumdeutung di Freud continuava tuttavia ad apprezzare l'idea che «ogni sogno ha almeno un punto in cui è insondabile, quasi un ombelico attraverso il quale è congiunto all'ignoto», interessandosi più al suo aspetto ontologico che psicologico.
Del mondo greco, per il quale il sogno viene dagli dei, ad attrarre l'interesse di Binswanger è un frammento di Eraclito, che afferma che «nella veglia tutti hanno un solo mondo comune (koinòn kosmon), mentre nel sonno ognuno si ritira in un mondo proprio (ídion kosmon)». L'indagine del saggio si svolge tutta intorno a queste parole, delle quali l'interpretazione più precisa e profonda secondo Binswanger sarebbe offerta da Hegel, che concepisce il passaggio dalla veglia al sonno «come ritorno dal mondo delle determinatezze, dalla dispersione nelle singolarità, all'Essenza universale della soggettività, che è la sostanza di quelle determinatezze e la loro potenza assoluta». Espressione di una «tendenza spirituale» determinata, le immagini dei sogni, come per i Greci, non sono create da noi, e l'analista non ha che il compito di spingere il paziente a realizzare il «destino» personale che in esse si manifesta.
L'occasione di questa considerazione, il caso di una giovane donna violentata quando aveva cinque anni, età in cui per Binswanger, diversamente che da adulta, era «sessualmente molto aggressiva», fa rabbrividire. Ma non impedisce di cogliere lo stravolgimento operato da Hegel sulle parole di Eraclito, che dicono tutt'altro. Quel mondo personale (ídion), proprio di ciascuno nel sonno, quando la coscienza scompare, non è chaos ma kosmon che, come l'etimologia suggerisce di estendere, si esprime nel linguaggio personale (idióma) delle immagini senza coscienza; poi, per stare con gli altri, cede alla lingua del mondo comune (koinón). Nelle parole di Eraclito, presocratico al di qua della scissione tra materia e spirito, cogliamo l'intuizione di un linguaggio inconscio del sonno, non divino e non dissociato, che viene totalmente annullata dall'idea hegeliana dell'Essenza spirituale universale. La cosa che più colpisce nell'analisi binswangeriana delle due serie di sogni è lo scarso interesse per il paziente: il singolo caso è inquadrato nella fredda luce dell'osservazione fenomenologica degli elementi comuni, dei tratti essenziali a priori dell'esserci umano, che determinano le sue diverse forme. La malattia non esiste, e l"insondabile" del sogno freudiano si traduce nelle parole di Schleiermacher: «La rappresentazione di Satana segna il confine della nostra conoscenza di noi stessi».
Anche in Freud si trova il riferimento a un inconscio demoniaco, ma più smaterializzata ancora è l'idea che ne ha Binswanger, sancita dalle parole conclusive del saggio: «La scienza significa sempre e solo un frammento del mondo (...) solo la filosofia è in grado di offrire una visione d'insieme (...) Non avanzeremo l'istanza di una metafisica del sogno: significherebbe intendere in modo troppo pedante la nostra concezione. Ma proprio qui, se mai in qualche luogo, siamo spinti a postulare e presagire una metafisica dello spirito, che non può che condurci all'idea di Dio». Una dichiarazione di fede che persino Freud, che ateo certo non era, irride: «Un Dio distillato attraverso la filosofia (...) Solo chi riesce a prendersi una sbornia con una bevanda analcolica mi è sempre apparso piuttosto strano».