Recensioni / Il prete di Dolores Prato: don Camillo piu' Peppone

Assomiglia a Don Camillo ma si chiama Don Pacì. E, a differenza del sanguigno prete con la faccia di Fernandel inventato da Giovannino Guareschi, ebbe scarsissima fortuna. Esattamente come il libro di cui è protagonista, Campane a Sangiocondo, primo romanzo di Dolores Prato che nel 1963 lo pubblicò a sue spese gravemente «manomesso» (come lei stessa annotò) dal curatore, Andrea Gaggero, al punto che le copie edite finirono in cantina e la scrittrice cominciò a distribuire ad amici e letterati la versione originale, dattiloscritta. II libro viene oggi pubblicato dall’editore Avagliano (pp. 310, € 15) con la cura e una nota introduttiva di Noemi Paolini Giachery che, oltre a ricostruirne la storia, lo contestualizza nel percorso culturale e umano di questa scrittrice che soltanto a novant’anni vide la pubblicazione del suo capolavoro Giù la piazza non c’è nessuno, anche questo brutalmente tagliato (da Natalia Ginzburg che lo curò per Einaudi), prima di vedere la luce nella versione completa, nel ’97, a cura di Giorgio Zampa, proprio in questi giorni riproposta da Quodilbet (con una nota di Elena Frontaloni).
Intessuto di autobiografia, Campane a San giocondo nasce come soggetto cinematografico e ruota attorno alla figura reale di don Pacifico Ciabocco, parroco di un paesino delle Marche, San Ginesio (che nel libro diventa Sangiocondo) con cui Dolores entrò in contatto quando insegnò nella scuola elementare del paese dal 1923 al ’25 (maestra, non a caso, è anche Letizia, la donna con cui Don Pacì condivide il fervore caritatevole). Del cinema il libro ha l’andamento che lo rende di lettura estremamente godibile, con dialoghi brillanti, personaggi minori forse un po’ macchiettisti ma delineati con poche, vivide pennellate: «Don Ascenzio era sacerdote, verissimo, però faceva il prete come avrebbe potuto fare il maniscalco»; la sorella di Don Pacì ha «una faccina da San Luigi: lunga, appuntita, gli occhi volti a terra»; sulla figura immensa di «Gigi delle campane» «si poteva attaccare un cartello: “materia grezza”». Don Pacì ha la stessa viva presenza di Don Camillo (il libro di Guareschi, ricorda la curatrice senza ulteriori commenti, fu pubblicato nel 1948, anno in cui quello di Dolores vince il premio Prato), con la differenza che riassume in sé anche Peppone. La sua idea di «trasformare Sangiocondo in una comunità cristiana» (che chiama «cellula» con un termine imparato da Zoccoli, il comunista del paese) partendo proprio dai preti che dovrebbero unirsi «non per isolarsi, ma per fondersi col popolo», l’indulgenza verso il «peccato della carne» che i preti stessi trasformano in protagonista del male terreno «lasciando nell’ombra l’avarizia, lo sfruttamento, la menzogna, l’ipocrisia, l’orgoglio», ne fanno un «prete socialista, ma cristiano» e lo porteranno durante la guerra a riunire nella Collegiata, insieme alla maestra Letizia, una popolazione eterogenea di fuggitivi e disperati a cui dà asilo, ma finirà vittima di una sorta di «guerra di religione» dell’epoca, quella delle confraternite per la posizione nella processione del Crocifisso.

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