Dolores Prato rientra in quella categoria di narratori in cui la tensione lirica si manifesta spontanea.
La vicenda della stesura e della stampa di questo libro è singolare quanto singolare fu la vita della sua autrice, lunghissima, intensa, trascorsa in buona parte a Roma. Preparata nel corso di decenni, l'opera fu compiuta in un tempo relativamente breve, e vide la luce nel 1980, in una drastica riduzione; altrettanto energiche correzioni di ordine stilistico e lessicale vennero apportate senza consenso dell'autrice. Il titolo, tolto da un finale che, nell'infanzia, apponeva di suo a una canzoncina, rimase il medesimo: più pertinente di questo sarebbe stato impossibile inventare. La Prato rientra in quella categoria di narratori in cui la tensione lirica si manifesta spontanea, annullando ogni diversa soluzione. Il tema delle pagine di Giù la piazza è centrato sull'esistenza di una bambina che subisce, osserva, giudica i grandi, ignara e insieme consapevole di sé. Includere Giù la piazza nella categoria delle autobiografie vorrebbe dire relegarla nel generico, nell'ovvio. «Io credo che ogni scrittore», scriveva la Prato all'amica L.A.B. il 3 dicembre 1977, «è autobiografico, a meno che non sia politicamente o socialmente impegnato, benché è dubbio allora che sia scrittore e se lo è l'autobiografismo non esula neppure di lì. Persone sufficientemente poco sincere possono nascondere l'autobiografismo, non lo potranno mai gli schietti come te e come me...». Dolores dettò la maggior parte di Giù la piazza servendosi di appunti. La notizia, sul momento, mi sorprese, ma poi ricordai come Paolo Volponi mi raccontasse di avere dettato molte parti di Corporale a una dattilografa di Urbino. Ci sono autori in grado di fissare simultaneamente idea, emozione e parola, di generare poesia nell'istante in cui la parola si presenta. Il lettore di Giù la piazza nota già nelle prime pagine la scioltezza, la rapidità, la naturalezza e trasparenza del dettato, caratterizzato da movenze e colori della lingua non scritta. Nello stesso tempo sarà colpito dalla precisione, dalla levità di una lingua capace di restituire un parlato autentico, non di fabbricare un faux exprès; dalla nobiltà della materia, dalla natura di un controllatissimo e libero linguaggio, dalla conversione della lingua di comunicazione in parola inconsunta. (tratto dall'Introduzione di Giorgio Zampa)