Recensioni / In valigia. Gli anfibi di Mari, la piazza di Dolores e i consigli di Seneca

Stiamo partendo per le vacanze. Controlliamo: gas chiuso, frigo vuoto. Le finestre sono sbarrate, le stanze scure. Per un mese la nostra casa preserverà intatte queste cubature di buio. Siamo nell'ingresso, io e lei, la valigia in una mano e un mazzo di chiavi nell'altra. «Aspetta un attimo!», le dico. «Che cos'hai dimenticato?», sbuffa lei. «Una cosa». Accendo la luce, torno indietro. Mi metto davanti alla libreria.
«Ma ti sembra il momento?». Sì, all'ultimo momento è il momento giusto. Per scegliere i libri da mettere in valigia. Con la fretta che strizza. D'urgenza. D'impulso.
Il primo: qualcosa dove il linguaggio dichiari il suo smacco trionfando. Un grande scrittore alle prese con una misera cosa. Dismisura fra lessico ed esistenza. Oh quanto sarebbero vaste e catarifrangenti le nostre parole, e a cosa ci tocca applicarle: un anno di servizio militare!
Fetido, buffissimo, tignoso, nostalgico: «Filologia dell'anfibio» di Michele Mari (Laterza).
«È tardi!», mi incalza lei.
Il secondo. Il libro di una vita. Mettere dentro un unico romanzo tutto quanto c'era da dire sull'essere passati per questo mondo. Esordendo a novant'anni: Dolores Prato, «Giù la piazza non c'è nessuno» (Quodlibet).
«E allora!», protesta lei.
Ancora uno. Frasi che arrivano da lontanissimo. Provare a migliorare un po' quest'epoca ascoltando i consigli di un'altra: Seneca, «Lettere a Lucilio» (Garzanti).
«Forza! Perdiamo il treno!».

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