Recensioni / La letteratura tedesca attraverso la sua geografia. Un volume collettaneo che contiene utili indicazioni anche per i protestanti

Sempre stato tutt’altro che scontato, e anzi foriero di buoni risultati l’intreccio, almeno in letteratura, dei discorsi di natura storica con quelli a carattere geografico: non si può dimenticare il titolo della più rilevante raccolta di saggi dell'insigne Carlo Dionisotti (1908-1998): per l’appunto Geografia e storia della letteratura italiana (Torino, 1967). Così pure è da intendersi come un volume di storia della letteratura germanica il collettaneo e intrigante Atlante della letteratura tedesca curato da Francesco Fiorentino e Giovanni Sampaolo per Quodlibet.

Costruito secondo linee diacroniche – perché dire «atlante» significa delineare i vari assetti che il territorio di lingua tedesca si diede o si ritrovò nel corso dei secoli – esorbitando anche da quella che oggi è la Germania (con puntate, abbastanza intuibili, nella grande produzione dell’Impero asburgico, ma anche nella Svizzera di Frisch e Dürrenmatt, e pure – meno scontato – nell'Alto Adige e in zone della ex-Jugoslavia), l’Atlante è in realtà distribuito anche in «macroaree» concettuali: città, zone di confine (già da sole affascinanti: Strasburgo, Zurigo ottocentesca, la Bucovina del grandissimo Paul Celan, la Königsberg, oggi enclave russa con il nome di Kaliningrad, città natale nientemeno che di Kant), fiumi (e ci si limita, per così dire, a Reno e Danubio), addirittura metropoli interne al territorio di competenza, ma anche apparentemente estranee come Parigi, Londra e Roma. E la produttività dell’approccio geografico mostra tutto il suo pregio proprio quando svaria in località ora non più germanofone, ma intriganti: la Praga di Kafka su tutte, ma anche il caso certo meno noto, eppure affascinante, di Crno Selo, sui Monti Velèbiti della Croazia, su cui scrive Claudio Magris. E, addirittura oltreoceano, si parlerà di proiezioni («Utopie, eterotopie»), come l’America secondo Kafka stesso (ma anche, parallelamente, in negativo da parte di Joseph Roth, nel racconto lungo Giobbe, che stigmatizza la «scelta americana» da parte di alcuni ebrei che vi hanno visto una sorta di «Terra promessa» – p. 505).
Se poi, all’interno di sezioni e capitoli, si affrontano le singole voci (che si devono a uno stuolo di germanisti), il lettore non digiuno di storia del protestantesimo troverà ulteriori spunti di interesse e, magari, di curiosità, come nella Roma che spinse Goethe «alla sensualità come modo di approccio al bello naturale sulla base del modello della poesia erotica latina», svolta compiuta abbandonando le «passioni di stampo pietistico» (p. 164) – molto critico invece, sempre in un suo soggiorno romano, Herder, pastore protestante (1744-1803), teologo e filosofo, che «trovava insopportabile ogni sfarzo del cattolicesimo in Roma, ed era piuttosto freddo nei confronti dell'entusiasmo per la natura» (p. 165).
Altre notazioni, non tutte risapute: il contributo protestante allo sviluppo del teatro in lingua tedesca a Strasburgo fra Sei e Settecento; il peso dei protestanti nella crescita di alcune sedi universitarie: Tubinga, Halle, Gottinga («A Dio e alle Muse» era l’iscrizione che sormontava l'accesso al seminario protestante –Stift–, pp. 5859). Il fenomeno è tipicamente settecentesco: nei due secoli precedenti, la preoccupazione degli ambienti sconvolti dalla Riforma di Lutero era essenzialmente quella di formare i propri «dottori della fede», precludendosi la possibilità di eccellere in studi di altro genere (principalmente nelle lingue classiche), anche in caso di perdita delle vocazioni ministeriali. E ancora: la centralità di Berlino, che fra i soci della Académie Royale des Sciences et des Belles Lettres de Prusse conta anche Voltaire oltre a molti nomi di ugonotti, e che come città si apre ai contributi dell’ebraismo e anche dell’Islam (73-75), fino a una svolta di chiusura ai primi dell’Ottocento (81).
Grande centro del movimento luterano fu anche Jena, più aperta a spiritualità complesse Heidelberg, vero e proprio «laboratorio dì utopie» Dresda. Forse però per il nostro lettore riuscirà più familiare il discorso su Weimar, città della predicazione dì Lutero e della musica di Bach, dove Lucas Cranach realizzò le proprie pale d’altare (203): ma qui, appunto, siamo già in ambiti noti. La ricchezza del volume, dedicato a Marino Freschi, sta anche nel permettere di trovare motivi d'interesse nelle pieghe di un discorso strettamente letterario eppure intrecciato con quello politico e culturale; dove, appunto, non poco contò il rivolgimento avviato da Lutero.