Recensioni / Ecco i racconti che Kafka non voleva bruciare

In realtà tutta l’opera di Kafka è lucida e continua riflessione sulla vocazione, sul drammatico incrociarsi di libertà e destino. Più che documenti utili per la determinazione di presunte patologie, i suoi testi si offrono come nitide parabole i cui protagonisti sono alla ricerca di un proprio posto in una quotidianità necessariamente dominata dal banale e dal limite (per questo gli uomini hanno bisogno della Legge). Non lontano dalle considerazioni di Robert Musil sul rapporto tra le “qualità” del singolo uomo e quelle definite dall’opinione pubblica (la Öffentlichkeit più volte ricorrente in questi racconti), Kafka interroga senza sosta le ragioni e le forme della creatività umana intesa come destino di partecipazione a qualcosa di dato, di “creato”. E non è mai in gioco un’idea aristocratica dell’arte. Può bastare un fischio, come quello di Josefine, che è dunque lontano dall’essere un «bel canto». In esso, in quel fischio, scrive il praghese, «c’è qualcosa della nostra felicità perduta», qualcosa che «libera anche noi», anche se per breve tempo, «dalle catene della vita quotidiana».