Recensioni / la grande madre Germania

Perché un Atlante della letteratura tedesca e non ancora una Storia? Se chi ha annunciato l’imminente o avvenuta “fine della storia” è sempre stato smentito dalla storia stessa, non c’è dubbio però che già il secolo scorso è stato spesso percepito come il secolo dello spazio, della simultaneità, della sovrapposizione, dell’affastellamento, dell’adiacenza. Forse è per questo che il principio del montaggio si è affermato in molti ambiti diversi, dal cinema alla letteratura, dalla filosofia alle arti visive. Oggi, però, nessuno più si azzarderebbe a pensare di rappresentare “l’avanguardia” del proprio tempo, di cavalcare l’onda della storia, di incarnare il movimento dello “spirito”. Tutto, o quasi tutto, è simultaneamente possibile. Se globalizzazione e localismi, omologazione e frammentazione sono forse tendenze oggi non contraddittorie ma complementari, è anche vero che dalle tragedie delle attuali migrazioni (est-ovest, sud-nord) potrebbero anche nascere nuove chances, nuove alleanze civili, nuove forme di vita. Siamo ormai consapevoli che la politica ha una dimensione geopolitica, che storia e geografia, tempo e spazio, non possono essere più disgiunti.
Dal punto di vista degli studi letterari se ne era accorto Dionisotti, il grande italianista emigrato in Inghilterra, quando propose nel 1970 una Storia e geografia della letteratura italiana. Questo Atlante si apre invece con un’affermazione di Kant (che nella sua università tenne anche corsi di geografia): “La vicenda di ciò che accade in tempi diversi, che è propriamente la storia, non è altro che una ininterrotta geografia, perciò è una delle più grandi manchevolezze storiche quando non si sa in quale luogo una cosa sia accaduta, o che cosa questo abbia comportato”. La storia geopolitica della sua città, Königsberg, (oggi ancora chiamata Kaliningrad, dal nome dell’eroe sovietico Kalinin) gli avrebbe dato amaramente ragione.
Una settantina di autori per altrettanti “voci” compongono un Atlante complesso e variegato, che ha rinunciato giustamente a una “copertura sistematica del territorio”, e presenta piuttosto incursioni saggistiche lungo i fiumi (Reno e Danubio), lungo i confini (dalla Russia al Südtirol alla Transilvania), nei territori della memoria e dell’immaginazione, nelle zone di lacerazione o delle utopie, nelle grandi metropoli o in un villaggio dimenticato, nella frammentazione delle piccole capitali di un tempo o nell’attuale Deutschland glob@l, nei miti e nelle “piccole patrie” o nella disseminazione forzata (600.000 ebrei tedeschi che emigrano negli anni Trenta). Come scrivono i curatori, “la contiguità spaziale di ciò che è distante sull’asse temporale illumina relazioni impreviste tra fenomeni ed eventi che sembravano chiusi in mondi distinti”. E si scopre così che la letteratura tedesca non è confinata alla Germania, all’Austria e a una parte della Svizzera, né ai suoi cento milioni attuali di madrelingua, ma si estende alla Grecia, all’Italia, agli Orienti (Egitto, Persia, India, Cina, Giappone). Per spingersi fino su Marte…