Recensioni / Perbacco, che romanzo

Dall'anticipazione pubblicata su "Il Sole-24 Ore":

Se dovessi dare dei consigli a uno cui viene voglia di scrivere gli direi: parti dalle interiezioni, che forse sono la parte più negletta della lingua scritta: ah, aimè, porco cane eccetera, sono la parte più trascurata e invisa alla scuola. Gli direi: parti da un bel oh perbacco, da cui poi ne consegue qualcosa; non ogni persona dice oh perbacco, e lo si dice in situazioni particolari, con addosso una carica di sorpresa e anche di perbenismo, per cui c'è già tutto un abbozzo di personalità del personaggio parlante, che se avesse detto invece vacca d'un cane, io lo avrei già classificato come un rozzo e un banale, con tutto quello che ne consegue, anche un po' di schifo per una tale greve personalità. Preferisco in genere i tipi che dicono perbacco. In ogni caso si ha non solo un abbozzo di personalità, ma è già partita una storia, perché dal perbacco (o dall'accipicchia, o da per la madosca eccetera) si è già avviata una situazione e un movimento: «Per la madosca, disse Carlo…», e siamo già nel corso dei fatti, ma non come quei romanzieri che iniziano già in piena vicenda perché lo considerano più spregiudicato e moderno: «Era là, seduto al pianoforte...» (me lo sono inventato queto inizio, perché non avevo voglia d'alzarmi a cercare una citazione; dopo quando mi alzo la vado a cercare).
«Era là seduto al pianoforte...», e mi viene da dire: ma chi è questo lui? Non può uno che scrive precisare fin da subito di chi sta parlando? Con nome, cognome, residenza eccetera, e mi viene già l'impazienza e l'insofferenza. Adesso mi sono alzato e ho preso un libro che inizia così: «Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa…, e la vedeva». Ma chi? dico io. E dov'è che succedeva?
E poi quel sempre: ma sempre rispetto a cosa? È un inizio che già mi mette il nervoso, si capisce che è stato ben pensato perché sembri qualcosa di improvvisato, come una visione che appare in mente; invece è evidente che l’autore c'è stato molto a pensare, poi si è detto: entro subito a storia avanzata che ci faccio bella figura. E non capisce, l'autore, che uno di sentimenti normali chiude il libro e ci rinuncia per sempre a proseguire («guarda qua cosa sono andato a compare» pensa), perché un inizio così gli ha già guastato il pomeriggio, e infatti la prova è che anche a me adesso mi ha preso il malanimo. «Succedeva sempre che alzava la testa… e la vedeva». Si noti che dopo che alzava la testa ci son tre puntini, «… e la vedeva», e questa dev’essere una sottigliezza, che però ormai mi ha reso insopportabile anche solo stare in casa a leggere, e se fossi un depravato cocainomane e pedofilo, adesso andrei a buttarmi nella dissolutezza del vizio, magari ai giardini pubblici a insidiare una babysitter con la bambina. «Alzava la testa (tre puntini) e la vedeva».
Ma chi vedeva? per la miseria! Che qui capisco che è una prosa raffinatissima, con quei tre puntini di sospensione e questo «la» di «la vedeva», che dovrebbe essere una visione, ancora sfumata, in modo che uno dica: quale intensità! questa sembra la Divina Commedia! No, forse un lettore ben disposto dice: che pulizia di parole! Sembra ci sia passata una scopa: «Succedeva sempre, che alzava la testa... e la vedeva», sembra ci sia passato anche l'olio per mobili, questo lo dico io, perché se invece incominciasse con: Per la madosca, disse il tal dei tali, residente nel tal posto, vedendo la tal dei tali, nome e cognome, titolo di studio eventualmente, se ha malattie, ad esempio epiteliosi squamosa, perché quel per la madosca può essere nato dall'aver visto l'epiteliosi disseminata in zone come le ascelle o la piega tra braccio e avambraccio. Lo dico perché per la madosca implica già tutto uno stupore interpersonale, e così via.
Quindi, riassumendo, consiglio di iniziare dalle imprecazioni, o comunque dalle interiezioni: «Mamma mia!» ad esempio; sentite che vita? Poi uno magari continua, e l'interiezione (quando rilegge) la cancella; può farlo, se gli sembra inutile, però intanto il discorso si è avviato ed è già come ci fosse una certa mentalità che parla, perché nelle interiezioni c'è molta più anima, sono come l'acido deossiribonucleico che costituisce il programma genetico; le idee vengono dopo, anzi le idee le si scopre alla fine, quando si è scritto tutto, le idee sono delle conseguenze. (...)
Quindi, per aver delle idee ed esporle, consiglio di partire dai propri difetti di fabbricazione e non nasconderli. Su questo l'antica retorica ha sempre un po' sorvolato.
Mentr'invece la cosiddetta letteratura ha i suoi pregi nell'essere sempre un po’ difettosa, guastandosi poi nel Novecento del tutto. Avevano ragione i nazi-fascisti a parlare di arte degenerata, malata, erano dei bravi critici, se togliamo il fatto che la volevano sopprimere, e così Stalin, che per bocca di Zdanov parlava di degenerazione borghese. Tutto verissimo. Un tempo c'era la norma, i modelli, la regolamentazione retorica, che indicava l'ideale di sanità; e poi c'era la letteratura concreta che se la cavava per approssimazione, anche se io dico che la letteratura è sempre stata costituzionalmente malata; una cosa era d'ideale, un’altra lo scrivere.
Nel Novecento ci si è liberati dell'ideale, con tutto il suo apparato didattico (che però sopravvive, ed è un bene, nelle classi scolastiche) ed è rimasta solo la malattia, il difetto, che però è la condizione umana, e in ogni caso la condizione linguistica, dove ognuno è un caso a se stante, e non c'è cura.