«Dopo tanti anni si giunge alla conclusione che non è possibile conoscere Roma, giacché bisognerebbe avere dieci vite per conoscerla veramente». È una delle tante considerazioni sulla città, fatte dalla «poetessa pensatrice» Ingeborg Bachmann, che a Roma muore nel 1973 dopo avervi vissuto per una ventina di anni durante i quali l’aveva esplorata a fondo, camminando ore e ore per conoscere ogni vicolo. Queste considerazioni si aggiungono a quelle di altri autori tedeschi che nel corso dei secoli hanno visitato la Città Eterna attratti dai monumenti della classicità ma anche dal modo di vivere dei suoi abitanti, tanto che la maggior parte vi sono rimasti a lungo e le storie del loro soggiorno sono poi confluite nei loro libri.
E Roma occupa un intero capitolo dell’imponente «Atlante della letteratura tedesca», edito in questi giorni da Quodlibet a cura di Francesco Fiorentino e Giovanni Sampaolo, dove oltre sessanta studiosi delineano in brevi saggi il profilo di città, fiumi, regioni, teatri e perfino paesi di fantasia descritti nelle opere degli autori d’oltralpe. Il capitolo su Roma, redatto da Mauro Ponzi, passa in rassegna gli scritti di Winckelmann: «Ritengo di essere venuto a Roma per aprire un po’ gli occhi a coloro che la vedranno dopo di me: parlo degli artisti, giacché tutti i cavalieri vengono qui da stolti e se ne tornano indietro somari». E quelli di Goethe: «Sì io posso dire che solamente a Roma ho sentito che cosa voglia dire essere un uomo. Confrontando il mio stato d’animo di quando ero a Roma, non sono stato, da allora mai più felice». Fino a Thomas Mann che nel romanzo «L’eletto» prende le mosse dalle campane per fare una ricognizione aerea delle chiese della città, e a Marie Luise Kaschnitz che fa di Castel Sant’Angelo, il luogo più amato, l’allegoria del suo soggiorno romano, con il sole, il vento, il fiume, la luce del tramonto sul Gianicolo e lo sguardo dell’angelo che «sembra porre fine a tutte le guerre e gli orrori dell’epoca moderna».