Recensioni / Illich e i sensi perduti

«La realtà dei sensi affonda sempre più sotto le pagine delle istruzioni programmate su come vedere, sentire, gustare (...). Eccitanti astrazioni hanno catturato le anime e hanno ricoperto la percezione del mondo e di noi stessi come federe di plastica». Sono parole tratte dall’ultimo libro (postumo) di colui che è stato definito anche «il massimo genio del pensiero economicosociale del Ventesimo secolo»: Ivan Illich (1926-2002). Cristiano intransigente, Illich rinunciò all’esercizio pubblico del sacerdozio nel 1969, dopo le censure ecclesiastiche alla sua attività di oppositore dello “sviluppo” (che anticipava le odierne teorie della “decrescita felice”), a suo avviso come forma più raffinata e distruttiva di colonialismo. I suoi testi contro la burocratizzazione della scuola, della sanità, dei trasporti e dei servizi in genere hanno fatto epoca (Descolarizzare la società, Nemesi medica). Il testo che segnaliamo si intitola La perdita dei sensi, e viene pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina di Giannozzo Pucci, che, amico e collaboratore di Illich da lunga data, ne cura anche la traduzione. Si tratta di una raccolta di articoli, riuniti da Valentina Borremans, che costituiscono nell’insieme un invito alla rinascita delle pratiche ascetiche, allo scopo di mantenere vivi i nostri sensi nelle terre devastate dallo show. Sono assolutamente da raccomandare al lettore le riflessioni controcorrenti su un attualissimo tema (ben oltre le povere e note diatribe fra laici e cattolici) contenute nel capitolo intitolato “La società amortale. Sulla difficoltà di morire la propria morte nel 1995”.
Per un ulteriore approfondimento è fresco di stampa I fiumi a nord del futuro, Quodlibet Edizioni, che raccoglie, ad opera di David Cayley (e per la cura dell’edizione italiana di Milka Ventura Avanzinelli), il cosiddetto Testamento, ossia il materiale di conversazioni avute negli anni 1997- 1999, nei quali, oltre lo scenario della perdita, si delinea anche la speranza accennata dai versi del poeta Paul Celan, amati da Illich e richiamati nel titolo  (segue...)