Recensioni / Osservatorio Critico sull'Atlante della letteratura tedesca



Francesco Fiorentino e Giovanni Sampaolo (a cura di), Atlante della letteratura tedesca, Macerata, Quodlibet, 2009, pp. 635, € 42


L’Atlante della letteratura tedesca, dedicato a Marino Freschi, si offre come ricco, suggestivo viaggio lungo le topografie geopolitiche e culturali dell’‘Europa di lingua tedesca’, i cui epicentri più o meno estesi, aperti o chiusi quali fiumi, regioni, città, teatri costituiscono lo scenario delle vicende intellettuali che hanno plasmato l’ampio contesto della letteratura tedesca con tutto il suo immaginario poetico. La scelta originale di fare dello spazio il principio organizzatore del volume ha per i curatori ragioni profonde: in nessun’altra area come in questa esso ha intrattenuto con la storia – in un arco di tempo che va dalla Kleinstaaterei dell’Impero germanico alle tragedie del Novecento fino alla riunificazione della Germania – un rapporto tanto pregnante. L’ambito interessato è ben più ampio della superficie degli stati in cui il tedesco è oggi lingua ufficiale e chiama in causa altri luoghi che, in diversi momenti storici, hanno fatto parte di quel mondo o, per vie diverse, sono entrati in contatto con esso.
Ne deriva una mappa variegata, tracciata da oltre settanta contributi organizzati in sezioni tematiche: «Due fiumi», «Le piccole capitali», «Le metropoli», «Tre luoghi della memoria nazionale», «Spazi di confine», «Miti del Sud», «Teutonismi», «Mitteleuropa», «Un villaggio», «Lacerazioni», «Le piccole patrie», «Gli Orienti», «Paesaggi di parole», «Utopie, eterotopie», «Deutschland glob@l». Arricchiscono il volume alcune carte geografico-culturali e i numerosi richiami tra i contributi, che alludono a ulteriori intrecci di discorsi e funzionano da inviti al lettore a seguire itinerari propri.
La prima sezione apre alle zone attraversate dal Reno e dal Danubio, realtà sovranazionali di scambio. Ai paesaggi dei due fiumi s’intreccia una trama letteraria radicata da un lato in una differenziata mitologizzazione fluviale – è il caso del Reno – dall’altro nel crogiolo di possibilità antropologiche, etniche e culturali proprio del mondo asburgico e mitteleuropeo. L’uno cifra di un patriottismo contaminato nel tempo da toni nazionalistici, l’altro simbolo del congedo dal ‘mondo di ieri’, testimone dell’‘altra’ Europa celata dietro la cortina di ferro, i due fiumi adombrano i drammi del secolo scorso e costituiscono il trait d’union di alcuni discorsi affrontati nell’Atlante, inerenti i concetti di natura e civiltà, storia e identità, ‘centro’ e ‘periferia’. Già queste prime letture invitano a percorsi alternativi all’ordine testuale. Per quanto concerne l’ambiente renano, esso conduce il lettore alle Alpi («Paesaggi di parole»), luogo del sublime di Kant e di Schiller, teatro del Bergkristall di Stifler e dello Zauberberg di Thomas Mann, e da qui al Rütli («Tre luoghi della memoria nazionale»), il prato dove secondo la tradizione elvetica, corroborata dal Wilhelm Tell di Schiller, venne siglato il patto di nascita della Confederazione.
I contributi dedicati alle piccole capitali ricostruiscono innanzitutto, accanto ai volti architettonici, i dibattiti politico-culturali nati, perlopiù nelle sedi universitarie, tra il XVIII e il XIX secolo e diffusi da una stampa molto attiva. È allora la volta di Tubinga col prestigioso Stift, dove studiano Hegel, Schelling e Hölderlin, e di Gottinga, città di Lichtenberg, avamposto di un pensiero improntato all’illuminismo e sensibile ai processi dell’emancipazione femminile. Un legame particolare unisce la Lipsia – «città del libro» – di Gottsched, fautore di un teatro didattico che guarda alla Francia classicista, alla Zurigo settecentesca di Bodmer, mediatore culturale nonché sostenitore, in polemica con il collega, di un illuminismo volto all’emozionale. Legate tra loro sono anche Jena, fulcro dell’idealismo tedesco e della Frühromantik, e Dresda, la ‘città delle arti’ nella cui pinacoteca Wackenroder è abbagliato da Raffaello. Parlare di Jena significa d’altronde anche sconfinare in quel ‘luogo della memoria nazionale’ che è la Weimar di Goethe e di Schiller, culla ideale della Bildung, a cui corrisponde sul piano politico l’utopico progetto di una fusione fra spirito borghese e aristocrazia illuminata quale alternativa alla Rivoluzione francese.
I percorsi della topografia letteraria obbligano a scarti temporali. Il volume introduce così alla Monaco nell’Otto-Novecento dove 1’antifilisteismo di Wedekind e la critica sociale del «Simplicissimus» si affiancano al cenacolo di George, mentre nelle arti spicca l’avanguardia dello Jugendstil e del gruppo “Der blaue Reiter”, fondatore insieme a “Die Brücke” di Dresda dell’espressionismo pittorico. E la dolente storia del secolo scorso a segnare, oltre a Dresda, la città di Amburgo, dove la memoria di Neuengamme e dei cantieri navali convive col ricordo dei sabotaggi ad opera della resistenza operaia. Con i suoi quartieri alternativi e multietnici Amburgo testimonia nel presente la differenziata identità moderna e il disagio sociale, temi cari a Siegfried Lenz. Un discorso a parte spetta a Lubecca e Heidelberg, spazi letterari eletti a dimensione esistenziale. La prima è teatro dei Buddenbrooks di Thomas Mann, romanzo in cui l’atmosfera della città si traduce in «habitus estetico-morale», mentre la seconda è luogo celebrato da Hölderlin, che nell’ode a lei dedicata la eleva a «geografia spirituale». Anche il contributo su Graz richiede una riflessione di ordine diverso, inerente l’affermazione dell’avanguardia letteraria del “Forum Stadtpark” e della “Grazer Gruppe” come reazione al provincialismo culturale della letteratura austriaca degli anni Cinquanta.
I contributi su Parigi e Londra («Le metropoli») focalizzano aspetti politico-culturali differenti, così come essi sono stati recepiti in ambito tedesco. La capitale francese è innanzitutto il «laboratorio politico» sulla cui filigrana si misura la ‘miseria tedesca’, si valutano il fenomeno della rivoluzione e l’ammissibilità della violenza, si riflette sulla dominazione napoleonica e sulla Restaurazione. Se già Parigi appare ambivalente paradigma della modernità, a maggior ragione lo è la metropoli inglese descritta nei resoconti di Lichtenberg, Moritz, Heine, nonché nell’opera di Brecht. Centro dell’internazionale comunista, Londra diviene durante il nazionalsocialismo una delle mete degli esuli tedeschi, uno per tutti Canetti.
Un ruolo particolare compete, nell’Atlante, alla Vienna del primo Novecento, somma interprete della crisi dei valori che investe l’Europa alla svolta del secolo e centro di sperimentazione nelle arti e nelle scienze. È questa eterogeneità che l’ha resa fulcro dell'immaginaria Kakania musiliana, topos poetico del mondo imperial-regio destinato a scomparire, ora teatro del più bieco patemalismo (Kraus) ora spazio cangiante del multiculturale mitteleuropeo. Multiculturale è qui il termine appropriato, se si pensa a Trieste, città di aspri e fecondi confronti identitari, frontiera politico-ideologica tra Est e Ovest. Alla ‘periferia’ della Kakania si situa la Praga di Kafka, dove mito e leggenda medievale aprono all’‘aldilà’. Qui l’elemento ebraico-tedesco si affaccia sul mondo dell’ebraismo orientale con la sua ortodossia religiosa raccolta nello shtetl, la comunità rurale alla quale molti ebrei assimilati guarderanno con l’interesse – è il caso, tra gli altri, di Kafka, Roth, Buber – di chi si interroga sulla propria identità. A toccare il tema del declino dell’Impero, inscritto nella più ampia visione di un mondo colpito da un’inarrestabile decadenza, è il contributo dedicato a Salisburgo, luogo d’origine di Trakl, nei cui versi la topografia cittadina assume connotazioni angosciose. Sulle tracce dello scomparso Impero si pone d’altronde anche la vicenda umana e letteraria di Antonio-Tonko Ljeto (1919-1994) – scrittore italo-croato di sentimenti austriaci, originario del villaggio di Crno Selo – il cui romanzo incompiuto Beeren condensa i destini disgregati dalla storia. Completa infine la panoramica sul mondo asburgico il contributo dedicato al Burgtheater e ai teatri viennesi («Tre luoghi della memoria nazionale»), che ricostruisce la scena sette-ottocentesca della capitale seguendo lo sviluppo dei diversi generi teatrali, tra cui l’opera, il teatro di prosa di Grillparzer, il Volksstück di Raimund e Nestroy, l’operetta. Nel secondo dopoguerra sono Vienna e Salisburgo, con il suo festival, a catalizzare il dibattito intorno a un teatro che si vuole smarcato dai retaggi del nazismo e non provinciale.
Un percorso di lettura trasversale ha per protagonista, nel volume, Berlino in quattro momenti della sua storia. Capitale prussiana di Federico II (Berlino nel Sette-Ottocento), sede dell’illuminismo di Lessing e Nicolai nonché dei primi passi della travagliata emancipazione ebraica guidata da Moses Mendelssohn, Berlino si presenta all’inizio del XX secolo come rete dell’espressionismo, con i suoi molteplici punti d’incontro e il suo immaginario letterario e pittorico, che ne polarizza i diversi aspetti. Ma Berlino è anche coagulo della storia del Novecento. La Berlino del Muro («Lacerazioni») restituisce i traumi originatisi da quella barriera attraverso le opere di Schneider, Johnson, Christa Wolf, Plenzdorf, gettando uno sguardo anche sulla capitalistica Berlino ovest, testimone di eventi cruciali come la rivolta studentesca e il terrorismo della Raf. Le questioni annunciate a conclusione del contributo – la riunificazione tedesca come cancellazione dell’identità orientale e il conseguente senso di spaesamento negli intellettuali della Rdt sono al centro della Berlino dopo il Muro in cui sul filo di Was bleibt della Wolf si affronta il naufragio del progetto socialista condensato nell’immagine di una «città senza nome». Con Ein weites Feld di Günter Grass il discorso si apre invece alla problematica della nazione unita, che l’autore occidentale, alla luce della tragedia tedesca, vuole fondata su una cultura comune aliena da ogni pathos nazionale.
Topografie dell’esilio e Topografie della Shoah ripercorrono le lacerazioni provocate dal nazismo. Il primo contributo ricostruisce i percorsi dell’emigrazione intellettuale tedesca attraverso le dolorose vicende di Anna Seghers, Brecht, Benjamin e riflette sul ruolo della letteratura in un momento di emergenza politica e ideologica. Topografie della Shoah affronta invece il dibattito poetologico, avviato da Adorno e tuttora attuale, intorno alla possibilità di una rappresentazione estetica di Auschwitz – inteso come luogo simbolo dello sterminio – e focalizza le voci interpreti di questa tragedia nella poesia (Celan e Nelly Sachs), nella prosa (Apitz), nella letteratura documentaria (Weiss, Heissenbüttel, Backer) o ancora nella riflessione saggistica (Améry). Al tema dell’esilio e della Shoah si lega anche la riflessione intorno al concetto di Heimat che, compromesso dal nazismo sull’onda dell’ideologia del Blut und Boden, diviene pressoché sinonimo di Vaterland. Sul processo di riabilitazione di questo complesso tematico e sulle diverse valenze da esso assunte nel dopoguerra fa il punto l’omonimo contributo, toccando alcuni momenti essenziali della sua rielaborazione, dal Prinzip Hoffnung di Bloch, alla tetralogia Jahrestage di Johnson, alla serie cinematografica Heimat di Reiz.
La sezione «Spazi di confine» si volge alle zone di frontiera fervide di interazioni culturali e traccia un reticolo di spazi oggi non più appartenenti alla geopolitica tedesca. Il lettore è introdotto così nell’alsaziana Strasburgo, patria dello “Sturm und Drang” ma francese dal 1861, incrocio di due lingue, due culture, due organizzazioni politiche quella feudale tedesca e quella centralista francese. Se già la Zurigo settecentesca è «terra letteraria di margine», lo è ancor più la Zurigo dell’Ottocento e del Novecento, la prima polo congeniale per gli autori del Vormärz che si allontanano dalla repressiva Confederazione Germanica, la seconda crocevia dei movimenti rivoluzionari europei, luogo della prossimità – e del mancato incontro – tra l’avanguardia politica di Lenin e quella culturale del Dada. È ancora Zurigo, alle soglie della Seconda guerra mondiale, ad accogliere molti intellettuali in fuga dalla Germania nazista.
Dei drammi del Novecento parlano d’altronde anche i confini mutati. È il caso di Konigsberg, centro del ducato di Prussia scelto da Kant a domicilio perenne, inglobata col nome di Kaliningrad nell’Unione sovietica, che nel 1948 decide l’espulsione della popolazione tedesca, o della Bucovina, fertile terreno della cultura ebraico-tedesca prima occupato dai nazisti poi dai sovietici, Heimat scomparsa per Celan e Rose Ausländer. Ancora diverso è il tema della Heimat nelle pagine del premio Nobel Herta Müller, esponente della minoranza tedesca stanziata nel Banato e nella Transilvania, passata nella Rft a metà degli anni Ottanta. I motivi legati alla realtà rumena – l’angusta vita agreste e il giogo della dittatura – si intrecciano qui alla difficoltà di una piena integrazione in Germania. L’essere «senza casa» è anche nucleo del contributo dedicato al paesaggio identitario del Sudtirol, così come esso emerge, in particolare, nei romanzi di Zoderer, al cui centro è la problematica della doppia estraneità di chi, abbandonata la ristretta realtà locale per la città, finisce vittima di un duplice spaesamento.
Altri spazi si uniscono nell’ampio contesto tedesco a quelli nazionali, a testimonianza di una cultura continuamente ‘deterritorializzata’ e stimolata dal’‘alterità’. La Grecia, l’Italia con la sua capitale Roma («Le metropoli»), e la Sicilia costituiscono i «miti del Sud» che da Winckelmann in poi fungono da luoghi reali o ideali intorno ai quali si anima il confronto con l’antico. «Mito di valenza archetipica» è la Grecia, nei diversi significati che essa assume, oltre che nelle riflessioni di Schiller sui concetti di ‘ingenuo’ e ‘sentimentale’, nell’opera di Goethe, Hölderlin, Novalis, Kleist. Meta privilegiata del viaggio di formazione tra Sette e Ottocento, l’Italia è innanzitutto la Roma di Goethe, vissuta tra finzione e realtà come esperienza conoscitiva e sensuale. A essa si affiancano i paesaggi rinascimentali di Wackenroder, la natura meridionale di Jean Paul, l’Italia popolare, noncurante e arretrata, ma detentrice di una spontaneità antitetica alla funzionalità tedesca. Concreto materiale di studio archeologico e architettonico è invece la Sicilia visitata e ritratta da von Klenze, Schinkel, Hittorff alla ricerca dell’humus fondante per le utopie progettuali del neoclassicismo tedesco.
La sezione dedicata agli «Orienti» ripercorre la curiosità del mondo tedesco per l’Egitto, l’India, la Persia, la Cina e il Giappone. È l’interesse filologico per le lingue antiche, la ricerca di pedagogie alternative a quella umanistica, l’indagine di una possibile fusione tra culture lontane a spingere gli intellettuali, a partire dalla fine del XVIII secolo, al confronto con l’esotico. In questo contesto si colloca il fascino per i geroglifici egizi, interpretati come iconografia razionale o sistema arcano, o lo studio del sanscrito e del mito indiano, attraverso i quali Friedrich Schlegel cerca l’origine della lingua tedesca e fonda una mitologia comparata. L’attenzione di Goethe per il ghazal persiano, attinto dall’opera di Hàfez, o in epoca più recente di Rilke per lo haiku giapponese e di Brecht per il teatro nö attesta le contaminazioni poetiche volte al superamento dei modelli estetici dominanti. Più ambigua è l’immagine della Cina, riconosciuta depositaria di un sapere della natura esente dalle storture della modernità – come in Döblin – oppure stigmatizzata a emblema di quella stessa modernità (Brecht), metafora di un potere assurdo (Kafka e Frisch).
È talvolta la letteratura a restituire l’immagine di città, regioni, terre altrimenti conosciute, come evidenziano i contributi dedicati ai «paesaggi di parole». È il caso della Marca di Brandeburgo di Fontane e di de Bruyn, colta negli ambienti in cui la sua storia fa capolino e della Slesia, scenario del romanzo pastorale di Opitz e teatro per Hauptmann di un naturalismo non scevro da componenti mistiche. Al mondo slavo-tedesco dell’Alta Slesia guarda invece Horst Bienek. Mentre la Svevia si materializza attraverso i viaggi compiuti negli anni Cinquanta e Sessanta da Bonaventura Tecchi sulle orme dei filosofi e poeti – Hölderlin, Hegel, Hesse – che lì hanno vissuto, la Frisia, terra divorata dal mare, riemerge tra scenari reali e irreali nella scrittura di Storm, e la città di Augusta rivive attraverso il duplice sentimento, ora polemico ora nostalgico, del suo «figliastro» Brecht, così come nell’apprezzamento riservatole da Thomas Mann, che nel passato della libera città dell’impero ritrova una parte della sua Lubecca. A completare la mappa dei paesaggi di parole, sono «le piccole patrie» Schilda e Seldwyla, la prima cittadina dalla fisionomia incerta sia nella geografia reale sia in quella letteraria, identificata da Wieland nella greca Abdera poi ripresa da Dürrenmatt, la seconda luogo inventato da Keller, entrambe designate a emblema, tra ironia e tragedia, della stoltezza umana. Una deviazione di lettura conduce a questo punto sulle tracce della Prussia («Teutonismi») della Minna von Barnhelm di Lessing e del Prinz Friedrich von Homburg di Kleist, riflessione sulle dinamiche interne a un stato fondato sull’onore e sulla subordinazione nel quale pur si tenta conciliazione tra necessità e libertà.
I contributi della sezione «Utopie, eterotopie» rintracciano, come vuole Foucault, quegli spazi «privi di un luogo reale» in cui la società appare perfezionata o rovesciata, o quei «contro-luoghi» realmente esistenti sorta di utopie realizzate. Non è casuale che il primo contributo sia dedicato all’America, ovvero agli Stati Uniti, raffigurati sin dalla fine del Seicento ora come potenziale scenario di una società libera ed emancipata, ora – è il momento della disillusione – come emblema della degenerazione dei modelli occidentali. Sono d’altronde arrivate anche in America le comunità pietistiche seguaci di Zinzendorf, fondatore nel 1722 della colonia di Herrnhut, in cui si propugna un cristianesimo rispettoso di tutte le confessioni. L’importanza del pietismo nella cultura tedesca settecentesca è altresì testimoniata da quella località dell’immaginario che è l’isola di Felsenburg, teatro dell’omonimo romanzo di Schnabel, incentrato sullo sviluppo di una società familiare il cui perno è il luteranesimo in forma pietistica. Alle utopie sociali si affiancano quelle artistiche. Così la colonia di pittori operante a Worpswede, presso Brema, negli anni tra Otto e Novecento, i cui esponenti sostengono una visione antinaturalistica del paesaggio con esiti che preannunciano il tratto espressionista. Altri contesti tra loro eterogenei si aggiungono a quelli già nominati. Ad esempio il giardino all’inglese del XVIII secolo, come il Garten Reich Dessau-Wörlitz, confluito nella letteratura dell’epoca - si pensi alle Wahlverwandtschaften di Goethe e da questa a sua volta ridisegnato; o la Staatsbibliothek di Berlino, eletta nel film di Wenders Der Himmel über Berlin a universo in cui si odono «la voce dei libri e poi il groviglio di voci di cui è fatto il mondo». Luogo dell’ambiguo e dell’ingannevole, dimensione del connubio di eros e thanatos, mito decadente per eccellenza è invece la Venezia che si profila da Schiller e von Platen fino a Wagner, Thomas Mann e Visconti. Utopia progettuale è, infine, il Duomo di Colonia, la cui costruzione in stile gotico, ripresa nel 1842 circa seicento anni dopo la posa della prima pietra, risponde alla ricerca di simboli identitari comuni. Una valenza affine si rintraccia anche nella Wartburg («Teutonismi»), l’imponente complesso architettonico situato presso Eisenach, sede di una leggendaria tenzone poetica nel XIII secolo, rifugio di Martin Lutero, che qui traduce il Nuovo Testamento, e teatro nel 1817 del Teutsches Siegesfest organizzato dagli studenti della Burschenschaft di Jena.
Un discorso particolare è da riservare qui allo sviluppo del teatro tedesco. A essere ripercorsa nel volume è, innanzitutto, la nascita del Nationaltheater, inteso come istituzione portavoce, nel contesto di una Germania ancora frammentata, della moderna coscienza borghese, nonché di uno spirito nazionale fondato sull’idea di una cultura condivisa. La breve esperienza del teatro di Amburgo, dove è attivo Lessing, quella del teatro di Mannheim e, infine, del teatro di Bayreuth fondato da Wagner ne costituiscono i momenti principali. Il contributo Freie Bühne, Volksbühne, Berliner Ensemble ricostruisce invece il panorama teatrale berlinese dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, focalizzandone le esperienze e le figure più significative tra i registi e gli autori – da Brahm e Reinhardt a Piscator, fino a Brecht, Besson, Heiner Müller, Peymann.
Negazione di ogni utopia è invece l’ospedale-manicomio Charenton, ricovero non solo di pazzi ma anche di ‘irregolari’ e ‘dissenzienti’, in cui Weiss ambienta il suo Marat/Sade, riconoscendo in esso i prodromi di un’istituzione – quella dell’internamento – la cui funesta degenerazione condurrà ad Auschwitz. Chiude la sezione un contributo dedicato al romanzo Auf zwei Planeten di Lasswitz. Al centro dell’opera è Marte, su cui si è realizzata l’utopia di una società improntata alla libertà e alla pace, salvo che l’esportazione del modello marziano sulla terra comporta l’uso della violenza, frutto di una ragione e di una tecnologia che si rovesciano nel loro contrario. Una rivolta terrestre riequilibra i rapporti di forza: un monito affinché i più alti valori umani si affermino al di là di ogni azione coercitiva.
L’Atlante si conclude con «Deutschland glob@l», sezione dedicata ai volti della Berlino degli ultimi vent’anni. Muovendo dai romanzi di Brussig, ironico interprete del disincanto di una generazione ormai lontana dallo slancio ideologico di una Christa Wolf, il contributo Sonnenallee/Kreuzberg/Mitte si sofferma sulla letteratura e sulla filmografia di una città in bilico tra l’incalzante globalizzazione e la difesa delle peculiarità identitarie risalenti al periodo della divisione. È la Berlino dei migranti, multiculturale e interculturale di Kaminer, Emine Özdamar, Yoko Tawada a siglare le topografie della letteratura tedesca, come testimonianza di una cultura che oggi sa far «entrare l’estraneo» nei propri confini nazionali.