Recensioni / La scissione tra io e mondo nell'era globale

E' fuor di dubbio che, nel corso dell'ultimo quindicennio, la "globalizzazione", al di là delle dirette implicazioni economico-finanziarie e del ruolo giocato nel "mutamento di scala" delle relazioni mercantili, abbia avuto ricadute ed effetti altrettanto significativi, agendo nella riconfigurazione dei sistemi di regolazione sociale e nelle forme tradizionali dell'ordine politico, contribuendo pertanto alla disgregazione dei luoghi classici del riconoscimento collettivo e dei dispositivi simbolici operanti lungo tutta la modernità. Se a volte appaiono solo stantie, o la cifra di una mera ripetizione linguistica le lamentazioni di Zigmunt Bauman sulla "liquidità" (società, amore, mondo, vita, paura, etica: tutti ambiti unificati dall'identico carattere "liquido"), che inevitabilmente contrassegnerebbe i luoghi e le tonalità emotive dell'epoca globale - mentre sarebbe forse giunta l'ora di scandagliare le dinamiche "gelatinose" ed "opache" dei dispositivi del nuovo "potere globale" -, è diffuso il riconoscimento che in Occidente, ed in particolar modo nello spazio della società europea, sia già avvenuta una "scissione", che ha fatto deflagrare, la connessione che unificava dialetticamente, dentro lo spazio politico moderno, il "particolare" del soggetto (dell'individuo, dell'homo democraticus) e "l'universale" dello Stato.
E' inevitabile considerare che, sino a quando ha funzionato e tenuto quella "connessione", le correlazioni tra le due dimensioni fondative delle "forme di vita" dei soggetti moderni - la dimensione psicologica e quella sociale - potevano svolgersi lungo il crinale di un orizzonte condiviso, pur se agonistico: tra valori, interessi, progetti, ideologie, ecc…Ecco che, proprio nel "vuoto" che si è spalancato davanti a noi, nell'attuale epoca globale, l'esigenza - sulla scia di Foucault - di una "ontologia dell'attualità", potrebbe così tradursi concretamente nella domanda: che cosa sta accadendo "adesso"? Qui ed ora, a tutti noi?
Parte da qui, da queste domande, dalla necessità di individuare "l'interpenetrazione tra le operazioni mentali dei singoli sistemi psichici e i processi comunicativi che strutturano i sistemi sociali", l'agile ma denso e brillante saggio del filosofo Massimo De Carolis, "Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica" (Quodlibet, Euro 16, pp. 190).
Consegnato ad una comune e condivisa acquisizione teorica e speculativa, il paradigma dell'interdipendenza tra forme delle "identità psichiche" e "comunità sociale" - oggettivamente inscritta nella storia effettiva della società moderna - sembra riaprire il campo di un inedito "paradosso antropologico", dal momento che l'epoca globale ed anche i nuovi interrogativi che si agitano in questi ultimi decenni attorno allo statuto della "natura umana" lasciano intravedere una mutazione storica nelle forme di vita delle soggettività postmoderne.
Il crepuscolo di quella che De Carolis chiama "doppia sottomissione" - vale a dire, quella delle pulsioni all'Io e quella della moltitudine alla legge: entrambe, espressioni e chiavi di accesso alla vita "civile" e al riconoscimento simbolico, oggi precipitate nel "vuoto" degli spazi politici collettivi - rende più incandescente lo stato di "anomia" che connota l'esistenza soggettiva, costretta a convivere con due istanze antitetiche ma obbligate: l'esposizione ad una infinita contingenza, derivante dalla nostra aperta costituzione biologica e l'esigenza di "proteggersi dalla illimitata contingenza", costruendo così "nicchie" e micromondi immunitari. Con incursioni che si snodano tra registri teoretici diversi - dalla filosofia politica alla psicanalisi, all'antropologia, da Freud a Schmitt, - il saggio di De Carolis offre al lettore un intreccio speculativo di notevole interesse.