«Ho saputo che hai levato la mano contro te stesso, prevenendo i
macellai…». Così scrisse Bertolt Brecht alla notizia del suicidio di
Walter Benjamin, intellettuale e filosofo ebreo tedesco che si tolse la
vita il 26 settembre 1940 per non cadere nelle mani della Gestapo. A
settant'anni dalla sua tragica scomparsa, l'opera di Benjamin, tra le
più lette e studiate della grande stagione critica del primo Novecento,
continua a suscitare un fervido interesse, soprattutto per le sue
rivoluzionarie aperture su un nuovo modo "politico" di concepire la
storia, l'arte e la tecnica. Giovanni Gurisatti, vicentino docente di
Storia dell'estetica contemporanea all'Università di Padova, e uno dei
maggiori esperti italiani dell'opera benjaminiana, ha cercato, nel suo
volume Costellazioni. Storia, arte e tecnica in Walter Benjamin
(Quodlibet, 384 pagine, 24 euro), di fare il punto su una produzione
intellettuale che - come scrisse Adorno - sembrerebbe condannata alla
"frammentarietà", senza mai trovare una sintesi compiuta.
In
controtendenza rispetto a tale concezione dispersiva, Gurisatti
individua invece la "costellazione", la struttura portante cui i
frammenti di Benjamin fanno riferimento come a una matrice unitaria: il
nesso intensivo tra Barocco, Moderno e Avanguardia - tre momenti
decisivi della cultura europea che giungono a "costellarsi" a distanza,
creando quella immagine perspicua della modernità di cui Benjamin fu un
interprete impareggiabile. Alla descrizione di questa immagine è
dedicata la prima parte del volume. Ma, come dimostrano i tragici eventi
della vita di Benjamin - che in quanto ebreo e marxista fu
perseguitato, costretto all'esilio e infine internato dai nazisti - egli
individuò e costruì tale costellazione non per la teoria, bensì per la
prassi, in termini "politici", al fine di contrastare, quantomeno dal
punto di vista intellettuale, la "costellazione di pericoli" (che lui
stesso definisce così nelle celebri Tesi sulla storia) rappresentata dal
nazismo e dai suoi supporters, da Gurisatti identificati in Spengler,
Heidegger e Jünger.
La seconda parte del volume descrive questo
drammatico scontro epocale tra due modi opposti di concepire la cultura -
l'uno destinato a condurre la Germania e l'Europa alla reazione e alla
catastrofe, l'altro rivolto a porsi al servizio della rivoluzione e
della salvezza. «Da questo scontro l'utopia benjaminiana uscì sconfitta -
spiega Gurisatti - ma l'attualità di Benjamin si gioca proprio nella
sua capacità di rammentare, oggi, un'esperienza politica "forte" della
storia, dell'arte e della tecnica, in un mondo postmoderno in cui essa
sembra ormai dissolta nella logica superficiale ed effimera di quella
che Guy Debord definì la "società dello spettacolo"".
L'autore
vicentino dedica il libro ai suoi studenti e in primis all'amico e
collega Franco Volpi, morto tragicamente l'anno scorso, con cui avrebbe
voluto discutere le tesi esposte, una consuetudine che durava ormai da
oltre 25 anni.