Recensioni / Guazzabugli di pensieri

«Che cosa fa in pratica uno quando si dice che fa dell'arte? ad esempio quando fa la cosiddetta letteratura?». Nel Limbo delle fantasticazioni, Ermanno Cavazzoni, scrittore eclettico di romanzi e racconti, che esordì nel 1987 con Il poema dei lunatici (Bollati Boringhieri), a cui si ispirò Federico Fellini per il suo ultimo film, La voce della luna (1990), parte dalla questione dell’arte, e della letteratura in particolare, e arriva, di divagazione in divagazione, in tono ironico e pungente, a riflettere sull’essenza multipla ed eterogenea della natura umana, «comica costituzionalmente».
La convinzione dell’autore è che la maniera tradizionale in cui viene intesa la letteratura, connessa al giudizio estetico (per cui un oggetto per essere artistico deve subire un giudizio, o battesimo, da parte dei critici) e all’artisticità (per cui esistono già delle forme prestabilite di arte), sia un po’ «stretta», perché molte fantasticazioni, molti «ribollimenti di pensieri che vengono trascritti e che hanno qualche possibilità di far ribollire chi legge», rimangono esclusi. Cavazzoni, infatti, considera la scrittura (tema a cui aveva già dedicato Gli scrittori inutili del 2002) come un’attività non programmata, simile al sognare: a volte si fanno dei bei sogni, ma è difficile imporseli (come, più in generale, l’arte è una mania che «non si sceglie ma ci si cade»); così, si comincia con piccoli appunti, brevi frasi che nel corso del tempo si accumulano e assumono la forma di racconti, romanzi, narrazioni. Si tratta di scritti nati innocentemente, per placare una qualche urgenza di scrivere, senza alcuna intenzione di affermarsi nel mondo corrotto e bellicoso dell’industria culturale: frammenti nati per essere buttati, ma che la promozione a letteratura potrebbe salvare dal «macero anonimo». Tuttavia, tale ammissione implica procedure di selezione assai severe, per cui meglio sarebbe ampliare l’idea stessa di letteratura «al grande sacrosanto territorio delle fantasticazioni, dove non ci sono criteri formali o candidature, giudizi d’esame e promozioni, ma lo scrivere sia un fatto come il parlare; qualcuno a un certo punto piglia la parola e parla, e lo può fare per tante ragioni».
Ecco allora che questi «guazzabugli di pensieri» rivelano la peculiarità della natura umana: a differenza di quella degli angeli, esseri perfetti e incorporei, la mente umana, influenzata dalle impellenze del corpo, è tutto un accavallarsi di idee e rimuginamenti, e la parola non fa altro che riflettere questo suo essere multiplo ed eterogeneo, dando luogo al fenomeno della comicità, che mostra come, inevitabilmente, ci sia qualcosa di dissociato e di incompatibile nel pensiero. L’essere umano è misto e discontinuo, e di conseguenza è facile che sia discontinuo anche il suo scrivere; le fantasticazioni, infatti, altro non sono che lunghe catene di associazioni, e per questo, ancora una volta, Cavazzoni fa della divagazione il suo modo di raccontare: «I libri più interessanti sono i più sgangherati».