Recensioni / I confini dell'identità sono la nave del pirata

Daniel Heller-Roazen alabora una teoria del nemico"stra-ordinario" e imbocca una pista che arriva fino a Guantanamo.

Mascalzoni ed eroi, avventurieri gagliardi o banditi erranti, subdoli, inquietanti, campioni di coraggio e libertà o razziatori vigliacchi, indecenti e malevoli: pronti a muovere attacco su tutti i fronti perché lanciati su campi – gli oceani – dove di fronti giocoforza non ce n'è alcuno. "Affrontare" il pirata a muso duro, guardando dritto in faccia il proprio avversario e puntando dritto le armi, o anche solo un dito accusatore, contro di lui è dalla notte dei tempi, dacché esistono terra e mare, impossibile. Non tanto e non solo perché, leggenda vuole, dondolante sull'onda, zoppicante com'è, guercio d'un occhio, il suo profilo sfugge a una nitida messa a fuoco. Soprattutto perché, fluttuante sull'acqua che scorre esente da partizioni statuali e da rivendicazioni di proprietà, in corsa su un terreno sottratto per secoli alla comune giurisdizione internazionale, può commettere ruberie e scorrerie incurante di ostacoli, confini e limitazioni. Porta sin già nel proprio nome il suo peccato originale il peiratès: vale a dire, in greco antico, l'eterno arrischiato, esposto al rischio, messo alla prova, volto all'azzardo. Di casa nel più inospitale degli elementi – il mare per cui Virgilio e San Giovanni nutrirono l'identico sacro orrore –, è a tutti straniero: estraneo a diritto e dovere, escluso da dichiarazioni di guerre giuste o negoziazioni di trattati di pace, alieno a griglie criminali, ai vincoli politici, alle norme della battaglia corretta, alle regole dello ius fetiale, è illegittimo alla nascita, fuori legge alla lettera, tras-gressivo per vocazione e intenzione. Senza fede né bandiere insomma è al di là del bene e del male. Non saranno certe meschine distinzioni accademiche a fermarlo. Ecco appunto che a sfidare con tenacia e con successo una figura tanto ambigua e dirompente si fa avanti non già uno specialista di storia militare, di politiche marittime o di battaglie navali, ma uno studioso di letterature comparate, docente a Princeton e autore di un libro capace finalmente di prendere di petto (anche alle spalle) gli irriducibili pirati. Di tenerli stretti tra le rigide categorie del diritto e le più morbide suggestioni letterarie. Di sgominare a colpi di ratio e oratio, colui che fu autorevolmente definito Il nemico di tutti.
L'autore del mirabile testo che con lo stesso titolo ciceroniano – ipse dixit infatti, lo disse Cicerone nel De Officiis, che il pirata è "communis hostis omnium" – dopo l'anteprima mondiale in Usa esce in Germania da Fischer, in Francia da Seuil e in Italia da Quodlibet si chiama Daniel Heller Roazen. È canadese, quarantenne, linguista eclettico, poliglotta, elastico e flessibile tanto da tendere alle sue prede – i famigerati predoni – le trappole giuridiche che, meglio di trame romanzesche, possono catturarli.
Se infatti le loro navi scivolano via spettrali nelle pagine di Melville che, ricorda Heller Roazen, nel Benito Cereno le vedeva apparire come miraggi, affiorare repentine dall'abisso svelto "a inghiottire subito ciò che ha dato fuori",  se ha sostanza e contorni di un fantasma lo straordinario brigantino di cui E. A. Poe lmmortala nel Gordon Pym "la sconcertante irrealtà", è invece nelle pagine dei giuristi classici, dei costituzionalisti, dei filosofi del diritto e degli statisti che, con secolare pazienza, si intesse la rete il cui i lupi di mare finiranno per cadere. Ne afferra e tiene il capo alla lontana Heller-Roazen, di bravo marinaio e, da esploratore di culture "navigato", la prende molto alla larga. Muove dalla grecità antica, anzi dalla città minoica, e di lì discende attraverso la romanità cruciale, il medioevo, le guerre coloniali, fino alla tarda modernità, per ricostruire non tanto la storia quanto la genealogia del concetto di pirateria.
Da vero "filologo","amico delle parole" e filosofo, passa al fil di spada tutta una ciurma di filibustieri, bucanieri, corsari medievali, scorridori elisabettiani: per distinguere con taglio netto e coscienza affiiata navigatori criminali e mercenari marittimi, cacciatori di frodo e guerrieri autorizzati da una qualche maestà a combattere in nome di uno stato sovrano. Tra il 1295 in cui Edoardo l consenti di abbordare le navi portoghesi, le imprese cinquecentesche di Francis Drake al soldo della regina Elisabetta, le scorribande caraibiche di Boucanier e le puntate della filibusteria anglo-franco-olandese che nel Settecento mirava alle flotte spagnole nel Golfo del Messico, per tutto l'orbeterracqueo infuriarono spedizioni corsare cui solo il divieto del Trattato di Parigi nel 1856 pose la fine.
Il panorama storico e la prospettiva geopolitica che appaiono da questo lungo scorcio epocale sono spettacolari. Daniel Heller-Roazen però si spinge ancora più in là. Da esperto tentatore di confini, lui che si è fatto notare con il saggio Ecolalie (Qpodlibet, 2008), in cui teorizzava gli sconfinamenti delle lingue storiche le une nelle altre, non si fa scrupolo di intrecciare competenze disciplinari, di scavalcare paletti, scolare etichette, di citare Omero e Boccaccio accanto a Ugo Grozio, Immanuel Kant e Carl Schmitt: riprendendo dai loro scritti e pensieri, non certo con intenzioni piratesche, solo e soltanto il preciso segmento utile a tratteggiare la silhouette di quei nemici universali e eccezionali.
II soggetto del ritratto, l'obbiettivo nel mirino, il nemico originale dell'umanità ormai appare sempre più limpidamente nella sua originalità inconfondibile. Si può riconoscerlo perfino oggi! Nei tratti niente affatto confusi e anzi evidentemente "comuni' di tanti nemici straordinari: di tutti gli hostes omnium che agiscono al di là di ogni confine e al di fuori dellla legalità. Il partigiano, il guerrigliero, il kamikaze volontario attivista, il dirottatore che oggi semina panico nei cieli, il criminale contro l'umanità, il terrorista.
Nell'approdo finale della lunga traversata di Heller-Roazen c'è un'estrema provocazione politica, tenuta d'occhio fin dall'inizio e già chiara al momento di salpare. Non navigava a vista chi, facendo vela su rotte tanto trasversali, va a incrociare le correnti che dall'isola del tesoro lo portano alla baia di Guantanamo. Stanato laggiù il nemico di tutti gli uomini, il fuorilegge per eccellenza, impermeabile a ogni legalità, Roazen scova e denuncia il paradosso più scellerato della civiltà: il dovere, per preservarsi come tale, di ovviare a doveri di giustizia o di darsi per i propri atti ingiusti un'autorevole garanzia d'impunità. «E che cos'erano allora i pirati!», disse john Choon Yoo, viceministro alla Giustizia Usa quando nel 2004, tra lo sconcerto dell'opinione pubblica, trapelò il "memorandum sulla tortura". Come dire che, affrontando i pirati, si può agire da pirati a propria volta. Disse qualcosa del genere alcuni secoli fa sant'Agostino. Non è per un colpo di mano corsaro che Heller-Roazen cita queste sue lungimiranti parole: «Una volta che si è rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli stati se non una grossa accozzaglia di malfattori? Il pirata cui Alessandro Magno chiese "perché ti sembra giusto infestare i mari con le tue razzie?" questi con spregiudicata fierezza rispose: "Per lo stesso motivo per cui infesti la terra. Ma poiché io lo faccio con la mia barchetta, mi chiamano malfattore. Tu che lo fai con una flotta eccezionale, sei detto imperatore".».