Recensioni / Singapore Songlines

Questo ritratto è stato tracciato da Rem Koolhaas nel 1995 all’interno di una più ampia trattazione (il bestseller “S,M,L,XL“), solo quest’anno ha assunto una forma editoriale autonoma in cui si delinea storicamente il caso di una città reale, Singapore, che diviene il paradigma di ogni nuova città. Schiacciata tra passato post-coloniale e spericolate sperimentazioni modernistiche, Singapore diviene l’emblematico risultato di un processo di coatta rimozione del ‘luogo’ – composto da contesto, geografia umana e memoria storica – in un iper-spazio astratto, nato dall’utopia della tabula rasa dove vige l’imperativo tripartito del rimuovere, distruggere, rimpiazzare, in nome di un utopico rinnovamento urbano e tecnologico.
Singapore si delinea definitivamente per Koolhaas come l’impero della semantica, “costruzione in prospettiva di un significato politico”, dove lo sradicamento culturale è la prima ricetta per evitare conflitti o contrapposizioni, e dove la categoria dello ’stabile’ e del ‘definitivo’ sono bandite in nome di una sempre viva ansia progettuale.
Ad oggi quel che rimane a monito è il dopo sbornia di una corsa al progresso che sa tanto di finto-lobotomizzato, le perfette geometrie della città ideale del ‘Terzo Capitalismo’, manifesto del quantitativo, appaiono affettate, inabitate. Singapore attualmente cerca anima nel progetto della ‘città-giardino’ recuperando spazi naturali con opere di riforestazione, sogno di un auspicabile, più equilibrato, rapporto con lo sviluppo.
Un libro fondamentale (da accompagnare dello stesso autore con “Junkspace“) per chi vuole comprendere e interpretare il futuro dell’architettura contemporanea.

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