Recensioni / Addio a Louise Bourgeois, la centenaria «signora dei ragni»

Sabato prossimo, con l' apertura della mostra «The fabric works» alla Fondazione Vedova (Magazzino del Sale 266) Venezia offrirà il primo omaggio a Louise Bourgeois, la scultrice scomparsa ieri quasi centenaria. «Non si spostava più, ma è intervenuta attivamente, fino a due giorni fa, con sensibilità e passione, a tutte le fasi della realizzazione della mostra», racconta il curatore, Germano Celant. La Bourgeois era nata la notte di Natale del 1911 a Parigi e la magia dei suoi primi anni trascorsi a Choisy-le-Roi (con il padre tappezziere e decoratore) sono stati la bussola inconscia delle sue creazioni plastiche: «Tutto il mio lavoro degli ultimi anni - scrisse nel suo bel libro di memorie Distruzione del padre. Ricostruzione del padre 1923-2000 (pubblicato in Italia da Quodlibet) -, tutti i miei soggetti hanno tratto ispirazione dalla mia infanzia». Facile, di fronte a questa ammissione, ricondurre i suoi lavori nel solco del Surrealismo, anche se lei mal sopportava alcuni parolai della psicoanalisi: «Diffido dei Lacan e dei Bousset, perché amano riempirsi la bocca di parole. Sono una donna molto concreta. Le forme sono tutto». Lei si mosse a partire da Léger - suo professore in accademia - e da Duchamp - amico e sempre rispettato come «grandissimo intellettuale che soffriva moltissimo» - per poi muoversi, nel corso di tutto un secolo, anche verso l'Espressionismo astratto e il Minimalismo, sfuggendo comunque a ogni tentativo di classificazione. In un quadro teorico, la sua opera può essere ritenuta espressione di quell' élan vital che, per Bergson, rappresenta la forza creatrice di un artista. Una forza di cui memoria e metamorfosi sono i motori e che nella Bourgeois si traduce in una personale e autobiografica grammatica di figure dell' inconscio. Per lei, comunque, sono solo l' opera e le emozioni che genera che hanno reale diritto di parola; ne conseguiva che, per quanto molto aperta ai giovani e alla frequentazione di diverse generazioni americane, dai beat ai pop, diffidava delle parole «che possono ingannare». Negli Stati Uniti si era stabilita dal ' 38 al seguito del suo sposo, lo storico dell' arte Robert Goldwater. E a New York, nel 1945, tenne la sua prima mostra con 12 dipinti incentrati sul tema della figura della donna, anche madre e casalinga. Un tema mai abbandonato, anche negli anni d' influenza femminista. Intorno agli anni Cinquanta incominciarono a comparire i suoi «totem» in legno che, da un lato, sono ancora un richiamo all' inconscio e, dall' altro, sperimentano forme che oggi sono diventate d' uso comune in piccoli oggetti di design. Nel decennio successivo incomincia ad usare materiali più flessibili e a realizzare sculture più organiche, come la celebre «Janus Fleuri» nella quale il critico Richard Storr vede l' accentuarsi del tema della metamorfosi e della «permutazione delle opposizioni sessuali». Seguì la serie «Cumulo», dove opera con il marmo creando nuvole cangianti che hanno fatto parlare di riferimenti berniniani, quasi alla base della «Santa Teresa» in Roma. Poi, per tutti, divenne la scultrice dei ragni, il suo marchio definitivo, un animale diventato in lei simbolo insieme di maternità e di morte. Ne ha realizzati in varie forme e materiali: dai più piccoli in tessuto, quasi quadretti da tappezzeria, ai giganteschi come «Maman», davanti alla National Gallery del Canada a Ottawa. La Tate Modern di Londra le ha dedicato un' ampia retrospettiva in occasione del suo 95mo compleanno, poi transitata al Centre Pompidou di Renzo Piano. Lo stesso architetto che ha restaurato i Magazzini del Sale, sede da sabato di un suo estremo omaggio.