Recensioni / Il Leone d'oro a Rem Koolhaas

È stato appena annunciato che il Leone d'Oro alla carriera della prossima Biennale d'Architettura di Venezia andrà all'architetto olandese Rem Koolhaas. Nessun problema. Una certa ammirazione serpeggia tra i cultori della materia, nelle redazioni delle riviste specializzate, dietro le porte dei dottorandi. Il nome di Koolhaas è una legione di date, forme, luoghi e idee. Il progettista della magnifica Central Library di Seattle (2004). Il compositore matematico e astrattista della Casa do Musica di Porto (2005). Poi la Cctv, la sede della Televisione pubblica cinese, a Pechino, ancora in costruzione ma ben visibile nella sua forma impossibile: struttura che mangia se stessa, anello di Moebius, percorso lanciato ai limiti di ciò che Euclide suggerirebbe di proiettare nell'aria. Basta scorrere rapidamente le immagini di questi progetti, oppure fare una cernita delle pagine che magazine di ogni tipo vi hanno dedicato, o anche solo far schioccare tra gli appassionati l'eufonica accoppiata nome e cognome, per rendersi conto dell'attrazione fatale che il nostro conscio collettivo mediatico ha sviluppato per la figura nordica e brutale di quest'uomo altissimo che da ragazzo ha passato anni a intervistare personaggi come Fellini e Le Corbusier. E anche se non vince la classifica stilata dall'ultimo numero del «Vanity Fair» americano – che ha chiesto a una cinquantina di addetti ai lavori globali di indicare le architetture più significative del XXI secolo – lo spazio e i commenti centrali dell'articolo che accompagna la lista sono proprio dedicati al pensiero e all'influenza di Koolhaas. E «Vanity Fair» americano, non dimentichiamolo, è il megafono di Hollywood.

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Non c'è da stupirsi. Koolhaas è molto di più che un grande architetto. È un narratore visionario, uno sceneggiatore urbanista (negli anni Settanta ha davvero lavorato agli script per un paio di produzioni cinematografiche). È uno scrittore: un analista esoterico, capace di forgiare una specie di lingua liofilizzata per la descrizione delle nostre e delle loro città, in testi formidabili come Delirious New York (1978) e S, M, L, XL (1995), dal quale la casa editrice Quodlibet, d'accordo con l'autore, ha estratto il bellissimo Singapore Songlines, anti-apologo sull'isola-metropoli asiatica, sintesi perfetta di megacapitalismo e azzeramento dei valori illuministici, dove si può esaltare il rendimento di un future ma anche comprare un rene a buon mercato, dal momento che la legge permette l'acquisto degli organi e ogni genere di trucco finanziario circense. Il fatto è che viviamo in un sogno-incubo che Koolhaas ha fatto risuonare, nelle sue parole e nelle sue opere, meglio di chiunque altro, precisamente una strana chimera a metà fra Le Corbusier e Fellini. I suoi amici più spiritosi stasera gli scriveranno un sms per complimentarsi del Leone d'Oro di Venezia, aggiungendo: dear Rem, per il cinema o per l'architettura?