Recensioni / In rassegna

Sono poche le case editrici che portano avanti un lavoro di ricerca attraverso la diffusione dlle teorie dell’architettura e contemporaneamente sono capaci di raccogliere in poco tempo i consensi attraverso le vendite dei propri libri. I libri d’architenura infatti negli ultimi anni sono diventati collezioni di immagini e progetti realizzati e non, che formano enciclopedie monotematiche senza alcun significato teorico.
In Italia la tradizione dell’architettura scritta ha sempre avuto uno spazio importante ma negli ultimi anni, forse anche per la diffusione sul web di molti confronti dialettici di molte pubblicazioni specializzate, si è perso interesse a pubblicare testi critici. In questo panorama fa eccezione la Quodlibet, che, controtendenza, ha cominciato a proporre raccolte di scritti teorici di architetti italiani (Costantino Dardi, Aldo Loris Rossi) e traduzioni di testi importanti più o meno recenti, di architetti diversissimi tra loro ma che hanno avuto e continuano ad avere grande influenza sull’architettura contemporanea. Cominciando da Utopie realizzabili di Yona Friedman passando per Manifesto del terzo paesaggio di Gilles Clement sono arrivati a riproporre, dandogli la forma del singolo libro, alcuni dei saggi più famosi di Rem Koolhaas. Il primo è stato Junkspace, mentre l’ultimo arrivato, il cui significato viene amplificato proprio dal fatto di essere riproposto in una forma nuova, perché autonoma dal contesto della sua prima pubblicazione (era un saggio viserito nell’eniciclopedico SMLXL) è Singapore Songlines, contraltare teorico ed ideale prosecuzione del più famoso Delirious New York.
In Singapore Songlines appaiono evidenti le drastiche trasformazioni della globalizzazione che hanno spazzato via tutti gli archetipi della forma classica di città, in questa tabula rasa prodotta dai cambiamenti economici si fanno strada e diventano fondamentali i sistemi politici di riferimento. Questo testo su Singapore, come sostiene to stesso Koolhaas nella prefazione appositamente scritta per l’edizione italiana (altro segno dell’importanza che lo stesso autore affida a questo libro). Investiga le conseguenze dell’influenza del sistema politico sulla città che emerge da una volontà di controllo totale sulle trasformazioni urbane.
Il manifesto retroattivo della città americana si trasforma in analisi inquietante di una città asiatica inventata da zero su basi consumistiche e su un paesaggio artificiale anch’esso prodotto di un progetto politico prima che sociale ed urbanistico. Qui lo spazio è pura scenografia di coesistenza etnica e sociale sempre e ovunque sorvegliato a distanza. La domanda che viene spontanea a 15 anni dalla sua pubblicazione è se l’Occidente avrà ancora qualche influenza sulla formulazione della città del futuro.