I predoni dei mari hanno riempito romanzi e film. In un libro un professore americano li usa come simbolo per parlare dei nuovi senza legge e delle strategie poco ortodosse usate per combatterli. Spiegando così come dagli antichi arrembaggi si sia arrivati fino a Guantanamo e agli Stati canaglia
Il fascino del pirata è indiscusso. Da sempre la sua figura riempie il nostro immaginario: intere generazioni si sono nutrite di esotiche scorribande in mezzo al mare e arrembaggiì avventurosi, Letteratura e cinema si sono ampiamente dedicati a filibustieri, corsari, bucanieri e vecchi lupi di mare. Quella pirateria sembrava però essere un problema arcaico, relegato a epoche passate. Già alla fine dell'Ottot'ento si diceva che i pirati fossero destinati a scomparire perché oramai i mari erano diventai i sicuri. Poi, con gli attacchi alle navi degli ultimi decenni, i mari tanto sicuri non sono risultati. Solo che i nuovi predoni del mare, per quanto temibili, sono apparsi a stento confrontabili con i pirati dei secoli passati, fonte di terrore universale. E infatti non è di loro (o almeno non è solo di loro) che parla Daniel Heller‑Roazen, professore di letteratura comparata a Princeton, nel suo libro molto bello e originale, II nemico di tutti. Il pirata contro le nazioni (Quodlibet),. appena pubblicato in italiano. Heller‑Roazen attinge infatti da discipline differenti – dalla storia alla letteratura, dal diritto alla teoria politica – per tentare, con successo, un'operazione azzardata: fare del Pirata un emblema, un paradigma di quell'avversario universale ed eccezionale definito da Cicerone “il nemico di tutti”.
Proressore, che cosa significa questa espressione?
“Tutta la mia ricerca è partita proprio dalla scoperta che già nell'antichità il pirata veniva definito “il nemico di tutti!. Era un'epoca in cui non esisteva un vero e proprio diritto internazionale né una carta del diritti dell'uomo. Mancavano anzi i termini per parlare dell'umanità come dato politico e giuridico. Eppure esisteva questa strana categoria. marginale, che comprendeva il pirata”.
Ma quand'è che un pirata è tale?
“Definisco il pirata attraverso quattro caratteristiche. Innanzitutto, la pirateria implica una regione nella quale vengono applicate norme giuridiche straordinarie, un territorio che finora stato rappresentato soprattutto dal mare aperto e dallo spazio aereo internazionale. La seconda caratteristica è che la pirateria implica un soggetto che, compiendo degli atti in questo inusuale spazio giuridico, esprime un antagonismo che non è né quello di un individuo nei confronti di un altro, ne quello dl un'associazione politica nei confronti di un'altra. Quest’antagonismo si presenta spesso come generale ovvero universale. Da qui la terza caratteristica: proprio perché non agisce né come individuo né come rappresentante di uno Stato, il pirata mette in crisi la differenza fra categorie criminali e politiche. Il quarto punto segue in modo analitico il terzo: se il pirata non è né un criminale un nemico, l'operazione che verrà svolta contro di lui non sarà né un'operazione poliziesca né un'operazione di guerra. Il pirata non si può punire e combattere con gli stessi mezzi con cui si puniscono e si combattono criminali o nemici. La pirateria annuncia una trasformazione della guerra. Un punto fondamentale: ogni volta che si ha a che fare con un pirata, si assiste a una guerra eccezionale”.
Cosi descritto il pirata sembra una figura tutt'altro che marginale nel nostri tempi ...
“Infatti. Nello sviluppo di questa categoria c'è una cesura importante che coincide con la modernità. Ovvero il momento in cui il pirata da nemico di tutti si trasforma in nemico dell'umanità. Ora, quando i romani parlavano del pirata come nemico di tutti, quel tutti non significava altro che tutti i Romani. È soltanto con l'avvento del cristianesimo e della Scolastica che si elaborano categorie giuridiche e politiche uninversali. In cui prende corpo l'idea di genere umano. Ed è come nemico di quest'idea che il pirata segna in qualche modo il limite del vasto insieme che chiamiamo umanità.
Nemico dell'umanità: quindi il paradigma del pirata si può applicare oggi al terrorista?
“Credo che esistano delle affinità indiscutibili tra la figura classica dei pirata e quella del cosiddetto terrorista contemporaneo. Ed è stata la guerra contro il terrore dichiarata da Bush a rappresentare la più flagrante persistenza ed efficacia di questo paradigimi”.
In effetti nella guerra condotta contro il terrorismo ritroviamo un linguaggio e un vocabolario che ricordano la pirateria.
“Sono molte le lingue, fra le quali l'italiano, che usano espressioni tipicamente impiegate per i pirati. Sin dagli anni Settanta, per i dirottamenti abbiamo sempre parlato di pirateria aerea. Anche oggi il fenomeno dei terrorismo viene raccontato con termini vicini a quelli della pirateria.
Quindi ii pirata diventa l'avversario globale, la flgura che racchiude per in sé un’eccezionalità (né criminale né politico) tutti quelli che oggi chiamiamo nemici dell'umanità...
“Questi cosiddetti nemici sono vari: dal pirata al corsaro, dal partigiano al terrorista, dal nemico ingiusto al capo di uno Stato-canaglia. Si tratta sempre dl un antagonista eccezionale. Non a caso gli Usa hanno coniato l'espressione combattenti nemici illegittimi per giustificare Guantananto e le misure speciali della cosiddetta guerra al terrore. E quando, qualche anno fa, un'opinione pubblica scandalizzata chiedeva ragione del trapelato memorandum sulla tortura, il viceministro della giustizia rispondeva: Perché è così difficile per la gente capire che esiste una categoria comportamentale non contemplata dal sistema giuridico? Cos’erano allora i pirati?
In questo senso definendo l'eccezionalità del nemico al giustificano, politicamente e giuridicamente, misure eccezionali da parte del governi.
"È davvero notevole come, con le guerre dette asimmetriche, gli Stati si credano obbligati a far uso dl combattenti che sono anche loro lrregolari e non statali. L'esempio più evidente negli Usa è la vicenda Blackwater: in Iraq la Stato americano ha fatto uso di organizzazioni militari private ingaggiandole con modailtà che ricordano quelle con cui la regina Inglese legittimò a combattere contro gli spagnoli alcuni marinai non appartenenti alla sua flotta. Ceno, non si parla né di pirati né di corsari in senso stretto”.
Oggi gli eserciti privati ingaggiati dal governi, in passato I corsari...
“E proprio c'osi. Quella del corsaro è una figura molto ambigua. Come il pirata è un irregolare, opera in luoghi al dl fuori dei confini. Eppure agisce sempre in nome di del sovrano: è legittimato a compiere azioni che sarebbero piratesche se non fossero autorizzate da un capo di Stato. Incarna un punto di contatto oscuro, ma decisivo, fra lo Stato e il pirata: io si potrebbe definire un pirata statale, anche se una tale idea non è certo giuridicamente corretta”.
Quindi li pirata non è, come spesso si crede, un personaggio remoto. Anzi, forse non è mai stato così vicino a noi...
“Oggi bisogna interrogarsi sulla nozione stessa di pirata, li fatto che I pirati vengano tradizionalmente pensati conte individui che operano unicamente per il proprio bene, ha una conseguenza molto Importante. E cioè che i pirati sono esclusi da qualsiasi appartenenza collettiva. Sono depoliticizzati, immaginati come esseri che agiscono solo per sé stessi e che, in questo modo, si oppongono a tutti. Torniamo così alla definizione di nemico di tutti. Una delle intuizioni che ha animato il libro è che il nemico dl tutti non esiste, è un essere immaginario. Ogni volta che si parla di un nemico di tutti, dell'umanità, o del genere umano, si ha a che fare con un fantasma. Ma il fantasma è potente, e nel discorso politico è efficace. Perché l'evocazione del nemico di tutti non serve solo a nascondere la reale posta in gioco degli antagonismi politici. La finzione di questo antagonista universale riesce a far apparire di fronte ai nostri occhi un altro essere, altrettanto immaginario: l’umanità, che non si riconosce come soggetto politico se non nella guerra perpetua e impossibe contro Il nemico di tutti”.