L'inquadratura non è solo bordo, ma una «soglia»: un punto nello spazio in cui si fronteggiano il mondo interiore del fotografo, io‑pelle con occhio abnorme, e l’ammasso inerte e silente che sta fuori… Un volume pieno di spunti tecnici e teorici, che ci restituisce soprattutto la poesia dell’artista emiliano scomparso nel ’92.
8 febbraio 1990. Luigi Ghirri tiene una lezione all'Università del progetto di Reggio Emilia. A un certo punto dichiara: «Apparentemente sono attento, paziente, pedante, meticoloso, cerebrale, se volete. Invece in questa ricerca sta il piacere del lavoro. Alla fine è un grande gioco». Rivela così il nucleo centrale del suo lavoro che è stato gioco serissimo nel cercare in fotografia la leggerezza di Calvino. Le sue lezioni, ora trascritte e propon‑ ste in volume (Lezioni di fotografia, a cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro, Quodilibet “Compagnia Extra”, pp. 268, euro 22,00), sono il risultato di una vita dedita alla ricerca di una felicità e di un equilibrio visivo, che ovviamente ben sapeva essere del tutto instabile, ma che erano per lui un punto di arrivo irrinunciabile. Dice di lui Gianni Celati, suo grande amico e qui redattore della nota biografica: «l'idea di una visione naturale che aveva, è l'idea di uno stato di incantamento, che noi chiamiamo poesia...». Se va sottolineata la patente affinità tra ciò che lo scrittore scrive dell'amico fotografo e ciò che Luigi Ghirri andava argomentando nel corso delle sue lezioni è perché in questo libro si intravvede lo scorrere di una stessa linfa, vi si legge un modo di guardare il mondo assai simile, in queste pagine aleggia un'aria respirata in comune. E questo chiudere il volume con la nota vibrante del ricordo di Celati è già un punto a favore di tutto il libro.
Celati infatti ci addita la strada giusta per leggere questo testo: un vademecum poetico più che una semplice raccolta di lezioni di fotografia, un esempio nel praticare il difficile e incostante equilibrio tra il vedere e fare esperienza dello sguardo, lasciando trapassare in questo atto così apparentemente biologico la necessità di mettere in relazione l'interiorità con le cose del mondo. «Cerco un punto di vista sul mondo esterno e una visione su un mondo più nascosto, interiore, di attenzione, di memorie spesso trascurate», dichiara Ghirri in un'intervista del 1982 (poi in Niente di antico sotto il sole, 1997). E quanto questa ricerca emerge dalle sue lezioni! C'è da rimpiangere di non averle potute seguire. a sua parabola si è interrotta anzitempo, nel 1992, Luigi ci manca.
Anche la sua vita è tata un permanere sulla soglia tra il dentro e il fuori, tra mondi e modi diversi, tra la precisione della ripresa e la distrazione di chi ha svagate idee sulle nuvole (di fotografie di cieli ha costruito una lunga sequenza, bellissima), tra il vagare incessante e il desiderio di radicarsi nel suo territorio d'origine, l'Emila. La soglia è il tema di una delle lezioni, forse una delle più intense: interessante riflessione che fa coincidere la soglia con l'inquadratura della macchina fotografica, che non è un bordo (questo lo definirà in un'altra lezione), ma un punto nel tempo e nello spazio che coincide con il fragile ed effimero momento di trasparenza tra il mondo interiore di chi guarda, mondo che spinge impellente per uscire allo scoperto, e ciò che sta fuori, ammasso inerte e silente. Due territori in attesa proprio della manifestazione di quella soglia che permetterà al corpo‑frontiera del fotografo, un io‑pelle dove la funzione dell'occhio è abnorme, di entrare in contatto con il mondo, come se la poesia fosse la soglia stessa, lo spirito evanescente del fotografo che se ne stava appollaiato sul bordo della macchina fotografica. Il fotografo è il frontaliere che è supposto filtrare ciò che esce e ciò che entra, ma che in realtà permette e dirige lo scambio tra due paesi.
L'opera di Luigi Ghirri è attraversata da pensieri complessi e opposti che convogliano correnti diverse, valori ideali e necessità reali. Così emerge in questo libro – spalmata su tutte le lezioni, tenute tra il gennaio 1989 e il giugno 1990 ‑ la tensione verso una fotografia aperta e quindi verso un modo di vivere che contempli la molteplicità della comprensione delle cose, pur restando nella dimensione soggettiva a lui connaturata, una posizione non eroica. Anche l'estetica del suo lavoro fotografico sta sostanzialmente su questo crinale in un equilibrio dialettico, nella sfumatura tra la percezione quasi olfattiva e tattile della realtà (se guardiamo le sue nebbie, le sentiamo, le tocchiamo) e la razionalità della ripresa; tra la visione soggettiva, incurante delle regole precostituite ma attentissima alle procedure della macchina, e la registrazione secca di tutte le piccole cose che dallo sguardo scivolano negli angoli della memoria, le cose viste come già avevano additato con la scrittura Hugo e Valéry.
Letti in quest'ottica si capisce come il suo lavoro e il suo pensiero fossero così in dialogo con William Eggleston. I due si conoscevano. Ghirri aveva anche scritto su Eggleston nel quale vedeva la sua stessa vertigine “dello stupore del ricordo”. Quel loro soffermarsi sul quotidiano meno epico, sulle piccole cose cui nessuno fa attenzione, pezzi di carta straccia, posaceneri kitsch pieni di mozziconi, carte da imballo natalizie, stropicciate a terra, lampadine solitarie appese a soffitti porpora, oggetti negletti che abitavano il quotidiano della fine del secolo scorso, era me gettare un ponte tra gli States e la piatta provincia italiana.
Nel libro poi emergono moli altri aspetti che rivelano quanto il suo insegnamento sia stato eccezionale. Il suo invito a travalicare ogni limite dello sguardo convenzionale per permettersi «una particolare percezione della realtà» vale ancora oggi, e non solo per la fotografia. La sua visione sui rapporti della fotografia con le altre rappresentazioni rivela un pensiero che oggi è centrale per la cultura visuale. “Tracciare ‑ diceva ‑ la ‘storia’ dell'aprirsi della fotografia in diverse direzioni per consentire così una lettura amplificata dai diversi processi di pensiero alle opere che entrano direttamente o indirettamente in relazione con la realizzazione dell'immagine”. Ghirri è stato davvero un maestro.