Recensioni / Condannati a innovare

Si fa presto a dire creativo. Lo si dice di una signora che ha il pallino per l'arredamento o di un bravo pizzaiolo che fa volteggiare la pasta da infornare. Il termine creativo è parecchio inflazionato nell'uso del linguaggio comune. In una buffa pubblicità radiofonica, Adamo, dopo il peccato originale, afferma preoccupato: «Eva, siamo condannati a lavorare!». E la Madre dell'Umanità lo rassicura, in un improbabile accento romagnolo: «Ma no, Adamo, siamo condannati a innovare!». Eva ha ragione. La caratteristica fondamentale della specie Homo sapiens è la capacità di creare. Non di creare dal nulla - come Dio, secondo i teologi - bensì di desumere innovazioni significative partendo da regole prestabilite e in virtù di quelle stesse regole. La creatività è una funzione biologica propria della specie umana, che se ne serve per escogitare sempre nuove strategie di adattamento all'ambiente, sulla base dell'istinto di autoconservazione. Questa posizione così marcatamente naturalistica contraddistingue la tesi del saggio Creatività del celebre filosofo romano Emilio Garroni, scomparso nel 2005. Il volumetto, pubblicato da Quodlibet e ottimamente introdotto da Paolo Virno, contiene un'analisi profonda del concetto, ma allo stesso tempo si pone come grimaldello teorico a favore di una solida critica della cultura. Garroni ci tiene a sfatare il falso mito, così diffuso, del genio creativo separato dalla scienza, svincolato da ogni tipo di legge e regola. È vero esattamente il contrario. Chi crea non può fare a meno di un sistema organizzato di regole cui fare costante riferimento. Ciò che davvero accade è che quelle regole, al momento della loro applicazione, si rivelano poi troppo astratte; è allora che la mente creativa interviene per modificarle, per renderle adatte a una determinata applicazione particolare. Per spiegare la sua tesi, Garro ricorre al modello del linguaggio e del gioco, due ambiti nei quali si fa un «uso infinito di mezzi finiti», si danno delle leggi, ma esse vengono poi modificate in corso d'uso. Egli fa riferimento ai padri della linguistica novecentesca, in particolare a Noam Chomsky e a sue due categorie fra loro strettamente interconnesse: la rule-governed creativity e la rule-changing creativity. La prima si identifica con l'insieme ristretto di prescrizioni utili alla realizzazione di una qualsiasi attività. La seconda si identifica con la capacità della mente creativa di cambiare le regole mentre le utilizza, facendo sì che esse rispondano alle proprie esigenze pratiche. Ricorrendo a nozioni tratte dall'etologia e dalla teoria dell'evoluzione, Garroni spiega che la creatività è facoltà indispensabile alla sopravvivenza della specie, poiché le condizioni ambientali d'adattamento sono perennemente messe in discussione; dall'abilità adattiva, nonché dalla sua velocità, dipende la preservazione di Homo sapiens. Inoltre saper intuire quando e come modificare le regole in corso, è una capacità propriamente "estetica”. Essa appartiene di dintto al regno della sensibilità; è a questo punto che l'autore chiama in causa la terza Critica di Immanuel Kant. All'estetica, pertanto, va riconosciuto il ruolo di disciplina che studia i fondamenti dell'esperienza cognitiva umana, e non quello di semplice esplicazione del bello e dell'arte. Alla stessa arte il Garroni naturalista fa giocare una parte importante nella storia dell'evoluzione della specie, anticipando così alcune valide tesi cognitiviste: la creatività artistica sarebbe un utile e necessario esercizio di quell'abilità, volta a cercare sempre nuove strategie di adattamento al mondo. La cosa sbalorditiva è che questo saggio è stato pubblicato, come voce dçll'Enciclopedia Einaudi, nel 1978! Oggi Homo sapiens usa sì la creatività per adattarsi al mondo, ma anche, o soprattutto, per obbedire alle leggi di mercato. C'è da chiedersi se, rispetto agli anni ‘70 del '900, lacultura occidentale non abbia fatto un passo avanti o indietro.