Negli anni '70 e '80 fino alla morte a 49 anni nel 1992 Luigi Ghirri è stato una delle figure dominanti nel panorama europeo della fotografia; adesso queste lezioni, tenute venti anni fa a Reggio Emilia e raccolte nel volume Luigi Ghirri. Lezioni di fotografia ci fanno capire meglio il suo lavoro. Due sono le tradizioni della fotografia, «farsi specchio della realtà» o «essere finestra sul mondo». «Io - dice Ghirri - personalmente ho sempre optato per la seconda declinazione». Ed è proprio questo uno dei punti rivelatori, la fotografia come finestra, come soglia aperta sul mondo. Nelle sue foto (qui sopra una immagine della serie «Atelier Morandi») scopriamo diversi tipi di soglie, le vetrine che rispecchiano un reale che si fa immagine; gli stipiti, le colonne, gli elementi che fanno da quinta e che aprono su un paesaggio o uno spazio, come le cornici dei dipinti, che per Ghirri chiudono, eliminano una parte del reale. Per Ghirri, infatti, fotografare vuol dire escludere, e questo si fa con l'inquadratura che è, appunto, una soglia. Ghirri usa il colore, siamo ai tempi della fotografia analogica, e lo reinventa. Rifiuta le dominanti gialle della pellicola e della carta Kodachrome, usa lo sfuocato, sceglie le ore dove la luce si trasforma, l'alba, il tramonto, o anche la notte quando si accendono i neon dalle dominanti verdine o i lampioni gialli. «Ho scelto di non usare mal una luce troppo cruda, forte, ma piuttosto di tendere a una maggiore distanza e attenuazione» scrive Ghirri della luce, e anche questa, la luce, è una nuova «soglia», «finestra» sul mondo. Per Ghirri la foto è sempre sequenza, perché la foto è lunga durata, e insieme è tempo fermo, bloccato. L'invenzione di Ghirri nasce, all'inizio degli anni Settanta, dal dialogo con l'arte concettuale, quando il fotografo collabora con diversi artisti, come Franco Guerzoni creando opere importanti, foto e pittura insieme. Ma la esperienza determinante è il dialogo col passato: da una parte il tempo lungo di Vermeer che gli ha ispirato la luce e lo spazio di molti interni, dall'altro la pittura surrealista, da Magritte in qua. Scrive: «Mostrare come ci sia sempre nella realtà una zona di mistero, una zona insondabile, secondo me determina anche l'interesse dell'immagine fotografica». Dimenticavo: da leggere, alla fine, un bel testo di Gianni Celati che, a proposito di Ghirri e Giacometti, conclude: «Uomini disarmati, come sospesi nella loro aria».