Recensioni / Al di là dei venti mesi: "La cittadella" (1946-1948)

[….] E altresì la rivista non contribuisce a delineare teoricamente un disegno organico delle “riforme di struttura”, che restano una delle intuizioni più nuove della Resistenza e delle sinistre nel dopoguerra, ma giustamente le definisce "lo scoglio" che mette "duramente alla prova la compattezza" dei partiti di centro.
Varie sparse collaborazioni di politica economica contribuiscono alla presa di coscienza del fattore strutturale economico.
Si allunga lo sguardo sull'Europa: si procede dalla critica alla politica delle riparazioni postbelliche fino alla ipotesi di europeizzazione del porto di Trieste. Emerge altresì, per altro verso, il disegno di un'azione contro lo spreco, per il riutilizzo di quelle che si sarebbero più tardi chiamate materie prime secondarie, e anche, confusamente ma con rimarchevole intuizione, per lo sfruttamento del metano.
Gli scritti di architettura e di urbanistica, che si fregiano tra gli altri dei nomi di De Finetti e Zevi, contribuiscono a riportare la rivista dal cielo alla terra ma meritano una trattazione a sé.
Ma la ricerca teorica che avrebbe potuto inserire la rivista nel circuito degli studi economici è scarsa Fu questo, come è noto, un limite della cultura delle sinistre nel dopoguerra.
E infatti un generoso editoriale tenta nell'estate del 1947 di stroncare la linea monetaria di Einaudi in nome dell'Umanità: "noi non siamo degli economisti ... la soluzione che noi cerchiamo non è una soluzione economica ma una soluzione umana... noi rigettiamo il liberalismo classico... noi cerchiamo un'altra via... semplicemente umana"
Sarà il pensiero profetico e arduo di Tartaglia a immettere nella Cittadella temi che oggi ci avvolgono drammaticamente, e che riecheggiavano motivi del pensiero socialista sia pre-marxiano che marxiano: "Un'economia che cominci a porre rapporti inediti di metaproprietà, intesa questa come il modo di collegarsi alle cose e alla loro strumentalità inverso e superiore a proprietà e non proprietà. Un'economia che afferma rapporti di metalavoro, ossia in cui i rapporti pragmatici alle cose, e le concomitanti scientificità e tecnicità, vengono trascesi nell'orizzonte inverso e superiore"